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Da Atene a Lisbona
Scritto da Sandro Martedì 03 Novembre 2015 17:28
Il Colpo di Stato Silenzioso a Lisbona
di Jacques Sapir
Dopo Pritchard, anche il prof. Sapir denuncia i recenti avvenimenti in Portogallo, dove, in nome dei mercati e delle istituzioni europee, il volere dell’elettorato è stato ignorato contro ogni norma democratica (il Presidente ha deciso di non dare il mandato per formare il governo a una coalizione di sinistra, nonostante questa abbia ottenuto la maggioranza assoluta). Nel finale Sapir preme per un coordinamento a livello europeo di tutte le forze che si battono per il recupero della sovranità democratica
Il Portogallo è stato vittima, nei giorni scorsi, di un colpo di stato silenzioso organizzato dalla classe dirigente europeista del suo paese [1]. Si tratta di un evento particolarmente grave. Esso si verifica in un modo che ricorda il golpe condotto contro il governo greco tramite la combinazione di pressioni politiche da parte dell’Eurogruppo e pressioni economiche e finanziarie da parte della Banca Centrale Europea. Esso conferma la natura profondamente anti-democratica non solo della zona euro, ma anche, e ce ne dobbiamo rammaricare, della stessa Unione Europea.
I risultati delle elezioni portoghesi
È stato ampiamente detto dalla stampa, specialmente in Francia, che la coalizione di destra è uscita vincitrice dalle elezioni legislative portoghesi. Ciò è falso. I partiti di destra, guidati dal primo ministro Passos Coelho, non hanno totalizzato che il 38,5% dei voi, e hanno perso 28 seggi in parlamento. La maggioranza degli elettori portoghesi ha votato contro le recenti misure di austerità, per un totale del 50,7%. Questi elettori hanno dato il loro voto alla sinistra moderata, ma anche al Partito Comunista Portoghese e ad altre formazioni politiche di sinistra radicale. Infatti il Partito Socialista Portoghese ha ottenuto 85 seggi, il Blocco di Sinistra (di sinistra radicale) 19 seggi, e il Partito Comunista 17 seggi. Sui 230 seggi del parlamento portoghese, si tratta di 121 seggi ottenuti dalle forze anti-austerità, una cifra superiore alla soglia assoluta, di 116 seggi [2].
Un accordo si potrebbe trovare tra i partiti di destra e il Partito Socialista. Ma questo accordo sarebbe chiaramente impossibile senza rimettere in discussione il programma di austerità derivante dall’accordo tra il Portogallo e le istituzioni europee. Questa situazione non può che ricordare quella greca…
I Socialisti e il “Blocco di Sinistra” hanno detto chiaramente che questo accordo deve essere rivisto. È stato questo il motivo per il quale il Presidente Cavaco Silva ha preso la decisione di respingere il progetto di formazione di un governo presentato dalla sinistra. Ma le considerazioni espresse nella sua dichiarazione vanno ancora oltre. Egli ha detto: “Dopo tutti gli importanti sacrifici fatti nell’ambito dell’accordo finanziario, è mio dovere, ed è entro le mie prerogative costituzionali, fare tutto il possibile per impedire che vengano mandati falsi segnali alle istituzioni finanziarie e agli investitori internazionali” [3]. Questa dichiarazione pone decisamente dei grossi problemi. Che il signor Cavaco Silva pensi che un governo di sinistra possa portare verso uno scontro con l’Eurogruppo e l’Unione Europea è suo diritto, e probabilmente è così. Ma che in una repubblica parlamentare, come è il Portogallo attualmente, non è certo suo potere interpretare le intenzioni future degli elettori per opporsi alla loro volontà. Se una coalizione di sinistra o di estrema sinistra ha la maggioranza al parlamento, e se presenta – come è avvenuto – un programma di governo, lui deve dargli una possibilità. Qualsiasi altra decisione non può che apparire come un atto incostituzionale e un colpo di stato.
La situazione economica del Portogallo
Questo “colpo di stato” arriva in un momento in cui la situazione economica del Portogallo, presentata spesso dalla stampa – a torto – come un “successo” delle politiche di austerità, è ancora estremamente precaria. Il deficit di bilancio ha superato il 7% nel 2014, e resterà comunque ben sopra la soglia del 3% quest’anno. Il debito pubblico è oltre il 127% del PIL. E se anche l’economia ha visto un po’ di crescita, è ancora oggi, nel 2015, al livello in cui era nel 2004. Il paese è stato portato indietro di 10 anni dalle politiche di austerità, con un costo sociale (in termini di disoccupazione) davvero troppo alto.
Le “riforme” che sono state imposte in cambio di un pacchetto di aiuti per il rifinanziamento del debito e delle banche, non hanno risolto affatto il problema principale del paese. Questo problema è la produttività del lavoro. Essa è troppo bassa in Portogallo, per diversi motivi: forza lavoro con poca e cattiva formazione, e investimenti produttivi decisamente insufficienti. Il Portogallo degli anni ’80 e ’90 poteva anche avere produttività bassa, perché poteva lasciar deprezzare la moneta. Ma dal 1999 è entrato in vigore l’euro, e questo è diventato impossibile. Non deve quindi sorprendere se la produzione si è fermata.
I piani di austerità che si sono susseguiti avevano lo scopo di abbassare i salari (in termini reali), sia che si parli di salari diretti o indiretti. Tuattavia questo calo può portare beneficio solo alle esportazioni, dato che deprime, al tempo stesso, i consumi interni [4]. Laddove un deprezzamento della moneta avrebbe lasciato invariato il consumo interno, è ora invece necessario che i guadagni delle esportazioni ottenuti tramite i piani di austerità compensino le perdite dei consumi interni. Perciò i piani di austerità saranno sempre meno efficaci rispetto alla svalutazione monetaria, e Patrick Artus su questo potrebbe aggiungere una nota, che risale al 2012: “L’aggiustamento dei tassi di cambio dà risultati rapiti; l’abbiamo già visto in Spagna e in Italia nel 1992-1993, con la rapida scomparsa del deficit estero e un aumento di durata molto limitata della disoccupazione. Lo abbiamo visto anche, in diversi casi, nei paesi emergenti: in Corea e Tailandia nel 1997, in Brasile nel 1998” [5].
La responsabilità che ha l’euro per la situazione economica del Portogallo è innegabile. Ma la responsabilità delle autorità europee per il caos economico e politico che potrebbe verificarsi è altrettanto certa.
Le lezioni da imparare
Si parla spesso di abitudine al disastro, di un arrendersi alla sofferenza che porta i popoli ad abbandonarsi al peggiore dei destini. In realtà qui non c’è nulla di tutto ciò. I portoghesi hanno cercato di applicare i metodi ispirati dall’Eurogruppo e dalla Commissione Europea e, oggi, sono costretti a constatare che questi metodi non hanno dato i risultati sperati. Il voto alle elezioni legislative è il risultato di questo bilancio. Ma la classe dirigente portoghese, servile verso il potere straniero, vale a dire verso le istituzioni europee, ha deciso di non tenerne conto. Ciò che sta accadendo oggi a Lisbona è altrettanto grave, anche se meno appariscente, di quello che è già avvenuto in Grecia.
La natura profondamente anti-democratica dell’Eurogruppo e dell’Unione Europea si riafferma di nuovo. Sarebbe da ciechi non vederlo. Ma questa potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso. Perché sia così, è indispensabile che tutte le forze determinate a lottare contro l’euro trovino delle forme di coordinamento delle loro azioni. Qui dobbiamo ricordare ciò che La Boétie scrisse nel Discorso sulla Servitù Volontaria, pubblicato nel 1574 [6]: “i tiranni sono grandi solo perché noi restiamo in ginocchio” [7]. Potremmo riprendere questa formula, che ci sembra contemporanea, e riformularla così: “Le istituzioni europee ci sembrano grandi solo perché noi (i sovranisti) siamo divisi“.
Ora più che mai si pone la questione del coordinamento delle tante forze sovraniste. Questo coordinamento non implica che ciò che distingue e divide le varie forze tra loro sia annullato o messo tra parentesi. Si tratta della logica dei “Fronti”, come il “Fronte Unito Antigiapponese” realizzato in Cina dal PC e il Kuomintang: non si tratta di alleanze in senso stretto, ma formazioni che permettono di marciare divisi per colpire uniti. La realtà, per quanto spiacevole possa essere per alcuni, è che fino a che noi non saremo capaci di coordinarci, un potere in realtà minoritario continuerà ad esercitare la propria tirannia. E di colpo di stato in colpo di stato, finirà per instaurare un regime di colpo di stato permanente.
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Note
[1] Evans-Pritchard A. « Eurozone crosses Rubicon as Portugal’s anti-euro Left banned from power », The Telegraph, 23 ottobre 2005, http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/11949701/AEP-Eurozone-crosses-Rubicon-as-Portugals-anti-euro-Left-banned-from-power.html
[2] Reuters, « LEAD 2-La gauche portugaise travaille à la formation d’un gouvernement » 12 ottobre 2015, http://fr.reuters.com/article/idFRL8N12C47720151012
[3] Evans-Pritchard A. « Eurozone crosses Rubicon as Portugal’s anti-euro Left banned from power », op.cit.
[4] Blanchard O. et D. Leigh, Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers, FMI Working Paper WP/13/1, Washington DC, gennaio 2013.
[5] Artus P., « Dévaluer en cas de besoin avait beaucoup d’avantages », Flash-Economie, Natixis, n°365, 29 maggio 2012, p. 6.
[6] La Boétie E., Discours de la servitude volontaire, Paris, Mille et une nuits, 1997.
[7] Questa citazione ha avuto grande successo alla vigilia del 1789, ma in una forma diversa: “I grandi sono tali solo perché stanno in piedi sulle nostre spalle. Scuotiamoci e cadranno per terra“.
USI Rimini. Contributo al dibattito.
Ultimo aggiornamento Martedì 03 Novembre 2015 11:00 Scritto da Sandro Venerdì 30 Ottobre 2015 11:41
Contributo dell'USI Rimini
al dibattito di madrid del sindaclismo alternativo.
Descriveremo qui in sintesi la nostra realtà locale,
i nostri ambiti di intervento e alcuni punti di priorità.
La nostra realtà La nostra città conta 150000 abitanti ed è capoluogo provinciale di una area con 500000 abitanti. Ha una economia in prevalenze turistico-stagionale con forte disoccupazione annuale a causa della chiusure delle aziende prima attive in settori industriali e della edilizia. A parte i lavoratori occupati nel terziario e servizi sanitari alla persona (in cui resistono ancora lavori a tempo indeterminato) molti altri restanti sono impiegati nel cosidetto “terzo settore” nel sistema delle cooperative in prevalenza sociali che hanno in buona parte le commesse di lavoro per “assegnazione diretta” (ovvero per spartizione politica delle risorse delle amministrazioni). Siamo i in una situazione di totale monopolio della distribuzione dl lavoro con un tessuto sociale imprenditoriale economico non esente da mafie. Alcuni nostri affiliati hanno nel tempo anche lavorato nella costituzione di Cooperative di Mutuo Soccorso (vere e non finte) ma con difficoltà grosse di fronte alla prepotenza del monopolio e alla mancanza di democrazia reale .
Nostri ambiti di intervento
Usi salvataggio Siamo presenti nella categoria degli stagionali impegnati nel servizio di salvamento dal 2007 con propria sigla sindacale “Unione Sindacale Italiana Marinai di Salvataggio Rimini” in prosecuzione del lavoro e battaglia per la sicurezza in mare di lavoratori e cittadini. Svolgiamo infatti dal 1994 uno studio annuale sulla casistica degli incidenti in mare che ha portato a importanti battaglie e cambiamenti nella salvaguardia della della vita in mare così come per la sicurezza dei lavoratori.
Contro la psichiatria Abbiamo organizzato convegni nazionali di coordinamento contro il controllo psichiatrico della società e del disagio economico e psicologico in cui in tanti si vengono per forza maggiore a trovare. E' stato aperto anche con il nostro sostegno (AssociazioneGattorossoGattonero) uno spazio di “autogestione della salute” che si realizza con appuntamenti di confronto e yoga. Sarà di prossima apertura anche uno sportello sociale di informazione e coordinamento tutela diritti.
Tagli alla assistenza sanitaria e alla cura della persona. Abbiamo organizzato negli anni passati assemblee cittadine contro la gestione privatistica delle amministrazioni che hanno applicato tagli di spesa sulle fasce più deboli e indifese della società (anziani, poveri, senza casa). Sono seguiti presidi, davanti agli uffici dei servizi sociali. La assistenza agli anziani è un settore molto delicato. La popolazione è sempre più anziana e le possibilità di assistere i propri cari in casa non esistono se non quasi totalmente con proprie risorse economiche. Le risorse economiche sono destinate a ricoveri e cronicari mentre le risorse alla assistenza domiciliare sono completamente insufficienti. La possibilità data alle famiglie di essere sostenute per tenere in casa propria i prori car è pressochè nulla. Coloro che non vogliono abbandonare i propri cari nelle residenze-lagher dei “ricoveri fabbrica” si ritrovano sepolti vivi in casa in situazioni che degenerano spesso in situazioni di esaurimento. Cerchiamo di intervenire con soluzioni di “mutuoautoaiuto” ma con piccoli e scarsi gloriosi successi.
Gli interessi economici della politica, delle imprese capitalistiche e delle mafie sono enormi in questo settore. E' necessario confronto con altre esperienze di autogestione di queste problematiche anche a livello europeo. Necessarie e vitali lotte e rivendicazioni che siano a breve termine decisive, sono infatti lesi il diritto fondamentali alla cura della persona.
Antifascismo - Repressione Le organizzazioni fasciste e xenofobe sono sempre state particolarmente attive nella nostra zona fin dai tempi di Mussolini. Da circa 5 anni sono riusciti a ottenere permessi a manifestare e a fare presidi. Per noi è una amara novità dato che dal dopoguerra a poco tempo fa non erano mai riusciti a marciare su Rimini. Questo non tanto perché siano cambiate le disposizioni di polizia nei confronti dei fascisti ma perché c'erano mobilitazioni di massa che impedivano per motivi d ordine pubblico il ricomparire in pubblico dei fascisti. Gli ultimi due presidi hanno causato centinaia di antifascisti denunciati . L'antifascismo istituzionale è un altro problema e causa della avanzata del nuovo fascismo che attinge forza da malcontento e dinamiche xenofobe. I partiti di governo applicano provvedimenti di taglieggiamento dei cittadini e propugnano campagne “antirazziste ipocrite e finte” dopo avere messo contro cittadini locali e stranieri in anni di abbassamento del costo del lavoro attraverso la “concorrenza “. Tutte le amministrazioni di governo e locali hanno infatti cercato di abbattere il costo del lavoro negli ultimi 20 anni mettendo in competizione al ribasso cittadini italiani e stranieri. Il lavoro di promozione di solidarietà reale tra tutti in quanto “cittadini del mondo” è per questo motivo molto delicato e richiede continua chiarezza.
Le Usi: la presenza di sigle Usi sul territorio che fanno riferimento a diverse segreterie e dinamiche e logiche di gruppo è un problema non da poco e che va risolto come punto di priorità ma senza tralasciare la precedenza della lotta e i suoi obbiettivi. Anzi è forse proprio dalla pratica e dalla concretezza che si risolveranno forse per forza di cose distanze e incongruenze.
Conclusioni
Sarebbe molto interessante confrontarsi sulla ricchezza del patrimonio di intervento interni alla rete del coordinamento. Questo per potere rendere accessibili a tutti (sia pur nelle differenti realtà locali ) eventuali soluzioni fertili e risolutive ai problemi concreti sopraesposti.
Un problema che andrebbe considerato e affrontato è anche quello della difesa e sostegno alle vittime di fascismo e repressione non solo dal punto di vista delle potenzialità legali. Gli attivisti in difficoltà più in generale necessiterebbero non di “credo ideologico ma pratico” . E' punto focale che le attività di lotta non esauriscano le forze degli attivisti ma che diano opportunità, conquiste e energie da subito.
Unione Sindacale Italiana
Rimini, li 26.10.2015
Gli operai guadagnano troppo
Scritto da Sandro Mercoledì 28 Ottobre 2015 14:06
Confindustria: gli operai guadagnano troppo
di Matteo Gaddi e Nadia Garbellini
Dopo il jobs act e i recenti accordi interconfederali (a breve potrebbe essere pure limitato il diritto di sciopero per il Giubileo e altri “grandi eventi”), continua la strategia di attacco ai lavoratori che è stata adottata di recente anche dal governo Renzi. Governo che, insieme ai precedenti, ha fatto della deflazione salariale il perno principale della politica economica per superare il problema di competitività della nostra economia.
In questo articolo - che segue questo contributo della settimana scorsa - gli autori spiegano come i dati pubblicati dagli organi di ricerca e di stampa possano essere utilizzati strumentalmente per convincere l’opinione pubblica e le istituzioni deputate a legiferare che occorrono ulteriori sacrifici dei lavoratori per rilanciare l’economia.
Ricordiamo che la co-autrice dell’articolo Nadia Garbellini sarà nostra ospite il prossimo 28 ottobre a Palermo per discutere delle forme di produzione statuali (qui maggiori dettagli).
***
- Il presidente di Confindustria ha recentemente motivato la rottura delle trattative con i sindacati affermando che le richieste di questi ultimi “sono ormai irrealistiche [...] per il futuro del Paese”.
- La base di tali affermazioni è una nota di CSC (Centro Studi Confindustria) le cui argomentazioni fondamentali si possono così riassumere: le retribuzioni dei lavoratori sono cresciute, nell'ultimo triennio, più della produttività. È quindi cresciuta la quota del reddito nazionale che va ai salari a scapito di quella che va ai profitti, riducendo la competitività delle imprese da un lato, e la loro capacità di effettuare investimenti dall'altro. Si deteriorano quindi le possibilità di crescita non solo presenti, ma anche future del Paese.
A questo punto è d'obbligo chiedersi: le argomentazioni del CSC sono fondate da un punto di vista empirico?
Partiamo dal dato sulle retribuzioni reali nel periodo 2013-2015.
Stando al rapporto CSC, queste sarebbero cresciute del 4.6%. Consultando i dati Istat, tale cifra risulta essere il tasso di crescita dell'indice trimestrale delle retribuzioni lorde per Ula (unità di lavoro equivalenti al tempo pieno) dal primo trimestre del 2013 a quello del 2015. Intanto, si tratta di dati provvisori (quelli definitivi escono dopo 12 mesi, quindi nel nostro caso a marzo del prossimo anno). In secondo luogo, i dati trimestrali sono molto volatili: già utilizzando il secondo trimestre la crescita è del 3.7%. Incidentalmente, non si tratta di un triennio, come riportato dalla nota CSC, ma di un biennio. Infine, stiamo parlando di retribuzioni lorde, che come noto sono cosa ben diversa da quelle effettivamente percepite.
In base a queste considerazioni CSC sostiene che è molto cresciuta la quota di valore aggiunto che va al lavoro “tanto che essa è tornata ai picchi storici di metà anni Settanta. Nel manifatturiero è arrivata al 74,3% nel 2014”. Per cominciare, la quota salari calcolata da CSC include tutti i costi del lavoro che fanno parte della retribuzione lorda. In secondo luogo, reddito nazionale e valore aggiunto sono identici solo in aggregato, non in ogni singola branca (o gruppo di branche). Considerazioni settoriali, ad esempio relative al manifatturiero, sono dunque contabilmente discutibili.
In terzo luogo, vengono applicate due correzioni.
- Oltre a includere una stima del reddito da lavoro autonomo (attribuendo un costo del lavoro pari a quello medio dei lavoratori dipendenti), prassi consolidata e ampiamente utilizzata, si aggiunge – dal 1998 – l’IRAP. Per calcolare l’IRAP si sottraggono dai ricavi i costi dell’esercizio, ma non i costi del personale.
- Per questo motivo il CSC la associa al costo del lavoro, pur non essendo questa cifra imputabile al lavoro in quanto tale.
- L'IRAP risulta nel 2014 pari a 30.468 milioni di euro (–4.299 milioni di euro, pari a –12,4%: rispetto Al 2013).
- Dai soggetti privati affluiscono 20.921 milioni di euro (–3.892 milioni di euro, pari a –15,7%) e dalle amministrazioni pubbliche 9.547 milioni di euro (–407 milioni di euro, pari a –4,1%). (Dati MEF, Bollettino entrate tributarie).
- Lo studio CSC effettua quindi un confronto con il resto d’Europa, dove non necessariamente viene compreso nel costo del lavoro qualcosa di simile all’IRAP.
Come indicatore aggiuntivo, si utilizza il rapporto MOL/valore aggiunto.
- Il MOL (Margine Operativo Lordo) viene ottenuto sottraendo al valore aggiunto gli altri costi di produzione interni, principalmente il costo del lavoro (i costi esterni sono già stati detratti calcolando il valore aggiunto).
Il MOL è molto diffuso nell’analisi di bilancio in quanto consente di valutare (essendo al lordo di ammortamenti, svalutazioni e accantonamenti, cioè grandezze che esprimono costi non monetari) il valore delle risorse finanziarie (cioè il capitale circolante netto) create dall’attività operativa dell’azienda.
- E’ quindi un indicatore di redditività di una azienda, utile per comparare i risultati di diverse aziende che operano in uno stesso settore; esso viene quindi utilizzato per valutare il prezzo di una azienda e quindi il prezzo di un'offerta pubblica iniziale. Ha senso utilizzarlo per una valutazione macroeconomica?
Sempre secondo il CSC, la crescita della produttività del lavoro italiana (10,9% tra nel 2000-2014) è bassa rispetto agli altri Paesi europei: 31,5% in Germania, 41,3% in Francia, 40% in Spagna. Tuttavia, dato il modo in cui la produttività viene calcolata, tale dinamica potrebbe essere dovuta a fattori di costo non imputabili al rendimento del lavoro.
Tale ipotesi è avvalorata da quanto scritto più sotto: la dinamica dei salari in Italia è stata molto simile a quelle di Spagna e Germania.
Si fa poi riferimento al CLUP (costo del lavoro per unità prodotto), che non è a sua volta un indicatore della produttività, ma dei costi unitari, del lavoro.
Secondo il CSC il disallineamento tra la dinamica retributiva e quella della produttività ha comportato un aumento del CLUP che si trasferisce in una dinamica dei prezzi più alta che danneggia competitività e margini di profitto.
Per fortuna il rapporto CSC precisa i dati di una busta paga.
Su una retribuzione media di 40150 euro, al lavoratore ne restano 20.328: 10822 se ne vanno in contributi INPS e INAIL a carico dell’azienda, altri 6.487 sono imposte sul reddito (Irpef) e 2.783 sono i contributi a carico del lavoratore per l’INPS. Il costo della retribuzione complessiva, tra il 2000 e il 2014, è aumentato del 6,5%, ma la busta paga netta solo del 2,6%.
- Quindi non sono aumentati i salari percepiti realmente dai lavoratori, ma è aumentata l’imposizione fiscale e contributiva sul lavoro.
- Infatti l’aliquota media IRPEF è passata dal 19,9% al 22,1% (Fonte: OCSE, Taxing Wages), e la contribuzione INPS a carico sempre dei lavoratori dal 9,19 al 9,49%.
Si potrebbero fare molte altre considerazioni, sia teoriche che empiriche; quanto qui esposto è tuttavia sufficiente a far emergere come i dati siano utilizzati in maniera strumentale alla tesi sostenuta: che il lavoro si sia accaparrato una quota eccessiva del reddito nazionale, minando le possibilità di crescita del Paese.
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