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Sul tempo determinato. Commento.

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Lo stop-and-go nella successione di contratti a tempo determinato per ragioni sostitutive


Uno dei profili critici della disciplina in materia di lavoro subordinato a tempo determinato è rappresentato dagli intervalli di tempo che, in caso di riassunzione a termine del medesimo lavoratore, devono obbligatoriamente trascorrere tra un contratto e il successivo, pena la conversione in contratto a tempo indeterminato (art. 5, co. 3-4, D.Lgs. 368/2001).

Sulla questione infatti vengono a scontrarsi interessi divergenti: da un lato, l'interesse a impedire l'utilizzo reiterato del lavoro a termine con finalità elusive (cioè per far fronte ad esigenze cui dovrebbe rispondere il contratto a tempo indeterminato); dall'altro, le esigenze di flessibilità delle imprese e quelle di continuità nell'impiego dei lavoratori.

In proposito negli ultimi mesi si sono susseguiti vari provvedimenti del Legislatore ed interventi interpretativi del Ministero del Lavoro.

1. La disciplina dello stop-and-go nella successione di contratti a tempo determinato

La legge consente la stipulazione di successivi contratti a tempo determinato tra le stesse parti, a condizione, però, di rispettare - oltre al limite di durata massima complessiva di un rapporto a termine (pari, salvo deroghe, a 36 mesi) - anche un intervallo temporale minimo tra il contratto scaduto e il suo eventuale rinnovo (il cosiddetto stop-and-go, di cui all'art. 5, co. 3-4 D.Lgs. 368/2001).

La L. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro - "riforma Fornero", in vigore dal 18/07/2012 - ha ampliato la pausa obbligatoria, rispetto al passato, da 10 a 60 giorni (in caso di contratto precedente di durata fino a 6 mesi), e da 20 a 90 giorni (negli altri casi).

Già durante l'iter di approvazione della legge, tuttavia, è parso chiaro che, soprattutto in un momento di crisi economica, l'applicazione indiscriminata di questa norma rischiava, da un lato, di incidere negativamente sulla flessibilità "buona" caratteristica di alcuni settori, dall'altro, di disincentivare il rinnovo dei contratti in scadenza, con conseguenze negative per gli stessi prestatori di lavoro. Pertanto, la stessa L. 92/2012 ha previsto che tali intervalli possano essere ridotti - rispettivamente, fino a 20 o a 30 giorni - dalla contrattazione collettiva nazionale (interconfederale o di categoria) o, in via delegata, da quella decentrata, per assunzioni nell'ambito di processi organizzativi determinati da alcune ragioni specificamente individuate (avvio di una nuova attività, lancio di un prodotto o di un servizio innovativo, implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, rinnovo o proroga di una commessa consistente), ovvero alle condizioni individuate dal Ministero del Lavoro, in caso di inerzia delle parti sociali.

Il D.L. 83/2012 ("decreto sviluppo", convertito nella L. 134/2012) ha poi esteso l'applicabilità dei suddetti termini ridotti anche alle attività stagionali, nonché ad ogni altra ipotesi prevista dai contratti collettivi di qualsiasi livello. Con la seconda estensione, in particolare, si è completamente rimessa alle parti sociali, a qualsiasi livello di contrattazione (nazionale, territoriale o aziendale), l'individuazione delle ipotesi di riduzione degli intervalli per i rinnovi.

Come evidenziato nella circolare ministeriale n. 27/2012 del 07/11/2012, l'intervento ministeriale sostitutivo è previsto solo in caso di assenza di questi ultimi accordi e solo per puntualizzare la casistica in cui possano ritenersi operanti le suddette ragioni. Questa interpretazione autentica fornita dal Ministero ha sollevato le critiche di chi invocava una nuova correzione della riforma. Invero, in base alla circolare citata, nel disciplinare "ogni altro caso" di riduzione, le parti sociali non potranno stabilire intervalli ulteriormente ridotti rispetto ai 20 o 30 giorni già previsti dalla legge.

Solo di recente gli accordi collettivi si sono dotati di disposizioni sul tema, percorrendo soluzioni diverse:
- l'accordo del 19/12/2012 per il settore del commercio e quello del comparto alimentare hanno ridotto per tutti i contratti a termine l'intervallo ai minimi previsti dalla legge (20 giorni, che salgono a 30 per i contratti ultrasemestrali), senza specificazione dei casi o limiti di motivazione;
- gli accordi del 22/11/2012 per il settore del turismo, del 12/12/2012 per il settore dei servizi di pulizia, del 18/12/2012 per i poligrafici e del 1/2/2013 per le telecomunicazioni prevedono invece un'applicabilità selettiva della riduzione dei termini temporali, prevista solo per specifiche ipotesi e causali.

Di recente, peraltro, il Ministero ha chiarito una serie di casi in cui è esclusa l'applicazione dello stop-and-go:
- quando uno dei due contratti a tempo determinato è un contratto intermittente (interpello al Ministero n. 72/2009);
- quando il primo contratto a tempo determinato riguarda un lavoratore in mobilità e il secondo, sempre a tempo determinato, riguarda lo stesso lavoratore non più iscritto nelle liste di mobilità;
- in caso di lavoratori provenienti da aziende in crisi e distaccati presso terzi, qualora l'azienda distaccataria, dopo un primo contratto a termine, decida di assumere lo stesso lavoratore con nuovo contratto a tempo determinato;
- tra un contratto e l'altro con la stessa persona, nel caso in cui la riassunzione riguardi una sostituzione di maternità.
L'obbligo di stop-and-go non si applica inoltre nei casi di:
- successione di rapporti di lavoro in somministrazione (l'art. 22, co. 2 D.Lgs. 276/2003 esclude l'applicabilità dell'art. 5, co. 3-4 D.Lgs. 386/2001; risposta ministeriale del 5 e del 17/10/2012);
- nuove imprese start-up innovative, legittimate, entro i limiti di durata massima del rapporto, a stipulare più contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore e per le medesime attività (connesse alla realizzazione dell'oggetto sociale), anche senza soluzione di continuità (D.L. 179/2012).

2. La successione di contratti a termine per ragioni sostitutive. La sostituzione per maternità

I contratti a termine, per espressa previsione dell'art. 1, D.Lgs. 368/2001, possono essere stipulati (oltre che per ragioni di carattere tecnico, produttivo o organizzativo) anche per ragioni sostitutive. La previsione di legge è assai ampia (con il solo limite del divieto di sostituzione degli scioperanti), e non distingue tra causali di assenza tipiche, in quanto previste direttamente dalla legge (ad esempio: malattia, ferie, maternità, etc.) o dall'interpretazione fornitane dal Ministero (come per il lavoratore distaccato), e altre che siano il frutto del libero accordo tra le parti (anno sabbatico, aspettative varie, etc.).
Una delle sostituzioni più diffuse è certamente quella per assenza dal lavoro per maternità. La disciplina della materia è dettata dal D.Lgs. 151/2001 (Testo Unico maternità). Riguardo a questa normativa, è stato chiesto al Ministero di chiarire se il datore di lavoro, che intenda concludere due contratti a termine successivi con lo stesso lavoratore per sostituire due diverse lavoratrici in maternità, debba rispettare i nuovi termini della riforma Fornero, o quelli minori eventualmente previsti dalla contrattazione collettiva.

Il Ministero (risposte del 04/10/2012 e del 05/11/2012), in ragione della specialità delle norme di riferimento e del fatto che la riforma Fornero non ha inciso su di esse, ha ritenuto che la disciplina del TU Maternità (specificamente l'art. 4, co. 1) prevalga sulla disciplina generale del contratto a termine (art. 5, co. 3-4 D.Lgs. 368/2001). Inoltre, trattandosi di contratto a termine stipulato per sostituire un dipendente assente per maternità, alla data dell‘effettivo rientro in servizio del dipendente sostituito il rapporto cessa e non sarebbe possibile prorogarlo per le medesime ragioni sostitutive (la proroga infatti è cosa diversa dalla riassunzione, perchè opera sullo stesso contratto originario e non necessita di intervalli).

In tali occasioni il Ministero ha dunque confermato che la necessità di rispettare lo stop-and-go sussiste solo per riassumere a termine un lavoratore per le medesime mansioni, e non nei casi in cui i contratti in successione, pur stipulati tra gli stessi soggetti, abbiano causa e oggetto differenti. Non vi è identità di contratto, infatti, quando si debbano sostituire diversi lavoratori, la cui assenza sia riconducibile a una delle cause previste dalla legge. Conseguentemente, è del tutto legittimo assumere senza soluzione di continuità un lavoratore con due contratti a termine, per sostituire, in periodi successivi, due diversi dipendenti assenti per ferie, malattia o maternità.

Nonostante le risposte fornite fino ad oggi in questa materia dal Ministero riguardino ipotesi specifiche, alla luce di quanto contenuto nelle risposte ministeriali del 04/10/2012 e del 05/11/2012 in tema di sostituzione di lavoratrici in maternità, pare potersi concludere che l'applicazione dello stop-and-go sia esclusa per tutte le tipologie di assunzione a tempo determinato per ragioni sostitutive. Infatti, essendo sorto il contratto per specifiche ragioni giustificative, alla data dell'effettivo rientro del lavoratore sostituito il contratto si esaurisce definitivamente. Per questa ragione, le parti (datore di lavoro e lavoratore) possono stipulare un nuovo contratto liberamente, senza intervalli, riguardando lo stesso ulteriori eventuali ragioni giustificative.

Per questi motivi, infine, si ritiene che nessun intervallo temporale vada rispettato nell'ipotesi di riassunzione a tempo determinato per ragioni di carattere tecnico, produttivo o organizzativo del medesimo lavoratore precedentemente assunto a tempo determinato in sostituzione di maternità.

Avv. Nicola Traverso

Fonte: Lo stop-and-go nella successione di contratti a tempo determinato per ragioni sostitutive