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Il "Segreto di piazza fontana"

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Il "Segreto di piazza fontana"

L’oggetto di questa lettera è il libro di Paolo Cucchiarelli “Il segreto di Piazza Fontana” e la risposta  di Enrico di Cola alle pagine in cui è chiamato in causa. Una volta letta sarà facile capire l’importanza di questa testimonianza: una risposta punto per punto a un’insieme di affermazioni e congetture a dimostrazione di un teorema.

Secondo l’autore il proprio lavoro sarebbe frutto di una ricerca minuziosa e avalutativa, rispettosa delle metodologie di ricerca storiografiche e giornalistiche e naturalmente di un approccio professionale al di sopra delle parti.

Abbiamo letto le pagine riguardanti Enrico di Cola e la risposta di quest’ultimo, risposte queste sì, che sono particolareggiate, chiare e esaustive. Ci viene da chiederci: ma se in solo cosi’ pochi paragrafi  del libro di Cucchiarelli si riscontrano tante incongruenze e conclusioni tratte da fonti storiche non primarie ma secondarie o addirittura di sconosciuti giornalisti dell’epoca della caccia alle streghe, allora cosa potremmo aspettarci da una analisi storica metodologicamente corretta sulle altre centinaia di pagine? Ci auguriamo che anche altre  persone inserite  da  Cucchiarelli nel suo “Segreto di Piazza Fontana” analizzino quanto scritto.

Un problema però c’è, la presentazione del libro non ha incontrato grosse contestazioni, d’altra parte il revisionismo della storia sta facendo salti mortali negli ultimi anni, il mercato tira si sa. Non è possibile però che non ci siano ribelli ad accogliere certe nefandezze. Il pubblico è forbito, il prodotto intrigante, i vassalli dei vari casati, sono pronti a giudicare e a sostenere che il libro è interessante e anche attendibile. Complimenti!

Ci auguriamo veramente che questo testo apra un dibattito su chi può o non può raccontare la storia delle stragi in Italia e tantomeno la storia delle persecuzioni agli anarchici, questo non solo per riguardo a chi non c’è più, o per riguardo ai sopravissuti, ma anche per riguardo a chi oggi vuole capirci qualcosa e vuole informazioni attendibili e rigorosamente precise. Il rispetto della memoria  degli olocausti, delle pulizie etniche e delle stragi di stato è cosa preziosa e fragile.
Ci auguriamo che il testo su Enrico di Cola arrivi in ogni angolo del paese, aiuti giudizi storici obbiettivi e dia ossigeno alla verità della memoria

La nostra risposta alle diffamatorie affermazioni di Paolo Cucchiarelli su Enrico Di Cola. 
Il nome Enrico Di Cola compare in sei delle 700 pagine del libro ‘’Il segreto di Piazza Fontana’’di Paolo Cucchiarelli.
A pag. 45 si riferisce che, come gli anarchici Nardella e Ardau, anche Di Cola andò  in Svezia.
A pag. 393 compare nell'elenco dei membri del circolo 22 marzo fornito dall'infiltrato di p.s., Salvatore Ippolito, ai suoi superiori.
A pag. 396 si segnala la presenza del Di Cola alla riunione durante la quale – secondo quanto scrive Cucchiarelli - si sarebbe consumata la “rottura definitiva fra Valpreda ed il circolo di Rossi”.
A pag .423 il nome compare nell'elenco degli imputati al processo di Catanzaro.
La citazione più lunga ed articolata avviene nelle pagine 399-400 (+ nota 78 a pag. 671) che – data la loro importanza - riportiamo integralmente qui sotto:

“Gli anelli della catena"
L’11 dicembre, quando Valpreda lasciò la capitale, ci fu una telefonata – il ballerino lo sosterrà in uno scritto filtrato dalla censura carceraria – che avvertì qualcuno a Milano di agire per il giorno dopo. Chi fu a passare la voce? Merlino, Mander, Borghese, o anche Ivo Della Savia, Angelo Spanò, i già citati Claps ed Enrico Di Cola: che cosa sapeva ciascuno di loro del piano del 12 dicembre? Fino a che punto erano collegati i vari anelli?”
[….]

“Enrico Di Cola, rilasciato dopo ventiquattr'ore, fu al centro di uno scontro tra la polizia, che lo riteneva solo un testimone, e Occorsio, che lo riteneva un imputato. Sarebbe stato lui – si sostenne all'inizio del gennaio del '70 – a indirizzare le indagini della polizia su Valpreda, con affermazioni fatte fuori verbale. La riprova del salvacondotto offertogli in cambio dalla polizia starebbe nel suo definitivo trasferimento in Svezia. (78) In effetti, Di Cola uscirà stabilmente dall'Italia e dall'inchiesta.”
Nota 78 : Fu Di Cola ad orientare le indagini della polizia?, Paese Sera, 9 gennaio 1970
*****
Oltre alla sciatteria editoriale di collocare il rinvio alla nota in una posizione tale da indurre il lettore a pensare che nell’articolo di Paese Sera si facesse anche riferimento al ‘trasferimento’ di Di Cola in Svezia, in queste otto righe di testo Cucchiarelli ci offre un saggio del suo metodo di lavoro: prende una fonte (se un articolo non firmato pubblicato da un giornale a meno di un mese dalla strage si può definire una fonte), evita qualsiasi verifica, ci aggiunge una falsità o una speculazione frutto della sua fantasia e tira fuori la sua verità.

L’articolo di Paese Sera (che riportiamo integralmente in altra parte di questo blog), sia pure fra molti condizionali e cautele, di fatto raccoglie ‘’indiscrezioni’’ di polizia presumibilmente fatte circolare all’epoca per proteggere l’infiltrato della Ps nel circolo 22 Marzo, Salvatore Ippolito, la cui identità verrà svelata ufficialmente solo il 9 maggio 1970.

Talvolta capita ai giornalisti di cadere in queste trappole, soprattutto ‘a caldo’. Ma 40 anni dopo è imperdonabile, soprattutto se oltre ad ispirarsi ad un articolo del genere, lo si manomette per renderlo funzionale alle proprie teorie come ha fatto Cucchiarelli.

Mettendo a confronto il testo di Paese Sera con quello di Cucchiarelli, l’operazione diventa lampante.

Paese Sera scriveva: “Lo studente, arrestato il giorno successivo alla strage di Milano e agli attentati di Roma, fu rilasciato dalla polizia dopo 24 ore. Secondo alcune voci – che ovviamente riferiamo a puro titolo di cronaca – nei confronti del Di Cola la polizia avrebbe usato, per cosi dire, un trattamento di favore. Ma perche? Anche lui faceva parte dei componenti del circolo «XXII marzo» e il suo rilascio, in una simile prospettiva, apparve piuttosto singolare. Qualcuno, addirittura, sostiene che proprio dopo l’interrogatorio di Enrico Di Cola, la questura romana fu in grado di trasmettere a Milano l’ordine di arrestare Pietro Valpreda. Un particolare (che, se vero, dovrebbe quantomeno ritenersi «strano») spiegherebbe perché il P.M., Vittorio Occorsio, in contrasto con la polizia, ritenne che lo studente non poteva essere considerato un testimone (sia pure «importante») ma un imputato. Nei verbali contenuti nel rapporto che la questura inviò al magistrato dell’interrogatorio di Enrico Di Cola ci sarebbero soltanto degli «stralci», e questo costituirebbe, in certo qual modo, la dimostrazione che lo studente potrebbe avere avuto nella vicenda un ruolo diverso da quello di un teste qualsiasi. Tanto più la sua provata appartenenza al circolo «22 marzo» legittimava, secondo il PM, l’estensione a suo carico dell’accusa di associazione per delinquere contestata a tutti gli altri arrestati. Il giudice istruttore condivise il parere del dott. Occorsio e il 2 gennaio ordinò l’arresto del Di Cola, che però si era già reso irreperibile”

Cucchiarelli scrive: “Enrico Di Cola, rilasciato dopo ventiquattr'ore, fu al centro di uno scontro tra la polizia, che lo riteneva solo un testimone, e Occorsio, che lo riteneva un imputato. Sarebbe stato lui – si sostenne all'inizio del gennaio del '70 – a indirizzare le indagini della polizia su Valpreda, con affermazioni fatte fuori verbale”

Gli ‘stralci’ di verbale di cui parla Paese Sera diventano per Cucchiarelli ben più gravi e pesanti “affermazioni fatte fuori verbale”. Complimenti all’autore....

L’uscita dall’Inchiesta
Quanto poi all’affermazione di Cucchiarelli secondo cui Di Cola uscì stabilmente dall’Italia e dall’inchiesta, vale la pena ricordare che effettivamente uscì dall’Italia, ma non certo dall’inchiesta.
Per evitare questo ulteriore errore, a Cucchiarelli sarebbe bastato leggere il dispositivo della sentenza del 23 febbraio 1979 (processo di Catanzaro) in cui si afferma: (pag. 1044) “Visti gli artt. 483-488-489 c.p.p. Dichiara Valpreda Pietro, Gargamelli Roberto e Di Cola Enrico colpevoli del delitto di associazione per delinquere come loro contestato al capo 1) della rubrica; …..condanna Gargamelli Roberto e Di Cola Enrico alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ciascuno …condanna, ancora, tutti i suddetti imputati al pagamento delle spese processuali cui hanno dato causa e di quelle della rispettiva custodia preventiva; …dichiara non doversi procedere…contro Di Cola Enrico, in ordine al reato previsto dallo art. 260 p.p. n.3 C.P. - così modificata l’originaria imputazione a lui ascritta al capo 8 dell’epigrafe - e con la diminuente di cui all’art. 311 C.P. - perché estinto per prescrizione;

Questa seconda parte della sentenza si riferisce ad un’ulteriore incriminazione di Di Cola.  Qualche mese dopo la strage, il 9 aprile 1970 (p.1000 capitolo XLV) venne eseguita  una nuova perquisizione in casa Di Cola dove venne trovato un quaderno con un elenco di alcune basi della NATO. Il Sid, interpellato, affermò che era stato preparato da uno specialista per cui i magistrati romani emisero un secondo mandato di cattura per “procacciamento e detenzione di notizie di cui è vietata la divulgazione”, come dire spionaggio.
Infine per smentire la fantasiosa e diffamante narrazione che vedrebbe il Di Cola suggeritore della pista Valpreda, basta leggere quello che scrive nello stesso libro una quarantina di pagine prima lo sbadato Cucchiarelli.

“Ippolito almeno da fine novembre sapeva che il ballerino stava per andare nel capoluogo lombardo…[…]  …L’11 dicembre, Ippolito era nella sede del circolo «22 marzo» quando Emilio Bagnoli riferì a Umberto Macoratti che Valpreda era appena partito per Milano con la sua Fiat 500. Ippolito telefonò immediatamente al suo capo, il commissario Domenico Spinella. Che fosse lui la fonte della prima segnalazione lo dirà il questore di Roma, Parlato, durante la conferenza stampa dopo il riconoscimento di Valpreda, il 16 dicembre. Naturalmente senza rivelare che si trattava di un poliziotto infiltrato nel gruppo anarchico. La polizia seppe quindi da subito che quella testa calda di Valpreda era a Milano: non dovette attendere soffiate o indicazioni esterne.”

IL RACCONTO DI DI COLA
Sulla vicenda giudiziaria che ha devastato la vita di quello che nel 1969 era un ragazzo di 18 anni e sulle spregiudicate teorie di Cucchiarelli abbiamo raccolto una dichiarazione dello stesso Di Cola che aggiunge alcuni particolari inediti a quello che già aveva raccontato in interviste rilasciate all’epoca.
‘’E così secondo Cucchiarelli, io sarei stato l’infame suggeritore della pista Valpreda? Un vero scoop....

Il fermo
‘’Intanto va rilevato che sia Paese Sera (giustificato perché ancora non erano noti gli atti giudiziari) che Cucchiarelli (senza giustificazione perché la cosa appare agli atti) riportano un dato errato: io, insieme al compagno Amerigo Mattozzi, venni fermato la sera stessa del 12 dicembre dai carabinieri e non dalla polizia.

‘’Fui rilasciato il 13 sera e, appena rilasciato, provvidi ad informare i compagni del circolo su cosa vertevano gli interrogatori e quello che i carabinieri volevano farmi dire, cioè che Valpreda era partito per Milano con una scatola di scarpe piena di esplosivi (vedi anche interviste di Di Cola a Umanità Nova e A rivista anarchica del 1972 pubblicate su questo blog,ndr).

‘’Chiarito questo punto ben difficilmente rimane credibile la tesi che potesse esserci stato un contrasto (o uno “scontro” come suggerisce Cucchiarelli)  tra la polizia ed Occorsio sul ruolo da attribuirmi,  di “testimone” o di “imputato”, visto che non era la polizia responsabile del mio fermo e tantomeno del mio rilascio. Vorrei anche sottolineare che ero già attivamente ricercato fin dalle prime ore del 17 dicembre, anche se il mandato di cattura ufficiale sarà emesso solamente il 2 di gennaio (cioè una settimana prima dell’articolo di Paese Sera), e quindi lo “scontro” diviene davvero una teoria demenziale.

‘’Del resto polizia e carabinieri non mi cercavano come testimone, ma perché - anche questo si può evincere dalle carte giudiziarie – i magistrati inquirenti stavano cercando di incastrarmi come uno dei responsabili delle bombe all’altare della patria! Fallito miseramente questo tentativo, il mio nome rimase in secondo piano, tanto è vero che fui – almeno inizialmente – l’unico membro del circolo incriminato per il solo reato di “associazione per delinquere”.

La latitanza
‘’Quanto alla mia latitanza, cominciò del tutto casualmente. Tornando a casa la sera del 16 dicembre, e avendo visto i titoli cubitali di un giornale serale di destra, ero davvero sconvolto e spaventato. L’arresto di Pietro e soprattutto la morte di Pinelli avevano risvegliato in me l’eco delle minacce fattemi solo alcuni giorni prima dai carabinieri che mi interrogavano  (‘possiamo ucciderti senza che nessuno mai lo possa scoprire’). Non riuscivo proprio a capire cosa stesse succedendo.

‘’Pochi minuti dopo il mio rientro a casa ricevetti la telefonata di C.V, una compagna del Pci, che mi chiese di raggiungerla nella redazione di Paese Sera a via dei Taurini dove lei si trovava insieme a N.V. Entrambi li conoscevo dal ’68 e lavoravo con loro nel coordinamento degli studenti medi e universitari e quindi accettai l’invito ad incontrare un giornalista di Paese Sera (del quale purtroppo non ricordo il nome) per  dare un’intervista su chi era Valpreda e su quel che sapevo del circolo.. Raccontai   la nostra storia chiedendo in cambio di poter passare la notte nella redazione. Il giornalista in un primo momento acconsentì, ma dopo qualche ora mi disse che stavano arrivando moltissime foto che mi ritraevano (ovvio, erano quelle dello sciopero della fame!) assieme a Valpreda e quindi mi chiese di lasciare immediatamente i loro locali.

‘’Data l’ora tarda e la pesante atmosfera che regnava in quelle ore, N.V. mi invitò ad andare a casa sua a dormire per quella notte, cosa che accettai con piacere anche perché sentivo la necessità di parlare ancora con qualcuno per cercare di capire cosa stesse succedendo. La mattina dopo, quando telefonai a casa per dire che stavo tornando, mi avvertirono che la polizia mi aveva cercato all’alba. Da quel momento, e per i successivi due anni, rimasi latitante in Italia, prima di decidere di andare all’estero’’.

(Sulla latitanza vedi racconto di Gaetano Luciano, riportato in altra parte del blog, ndr)

L’uscita dall’Italia
‘’Per quanto riguarda la mia uscita dall’Italia non fu certo grazie ad un “salvacondotto” della polizia che arrivai in Svezia. Dopo tanti anni credo di poter rivelare che furono alcuni compagni anarchici di Roma (Fai) e Milano (Crocenera) che mi aiutarono a lasciare l'Italia verso la fine del 1971. Avevo discusso – separatamente - con Aldo Rossi, con Eduardo Di Giovanni che era il mio avvocato, e con un compagno di crocenera anarchica di Milano, spiegandogli che dopo due anni di latitanza avevo bisogno di un breve periodo di “libertà” o, se non altro, di un breve periodo di “vita normale” per riprendermi dallo stress a cui ero sottoposto.

‘’All’epoca era mia intenzione costituirmi all’inizio del processo, ma di questo non se ne vedeva ancora neanche l'ombra. L’idea era quindi di andare in Svezia per sollevare pubblicamente il “caso Valpreda” agli occhi di tutto il mondo. Pensavamo che l'Italia avrebbe chiesto l'estradizione e che avremmo potuto in questo modo far sapere a tutti quello che accadeva in Italia in un pubblico dibattimento. Insomma era un tentativo di fare all’estero quello che si aveva paura di fare in Italia: un processo per dimostrare che era in atto una mostruosa trappola contro delle persone innocenti.

‘’In Svezia fui intervistato da molti quotidiani e settimanali svedesi, organizzai la prima manifestazione degli anarchici e del sindacato rivoluzionario SAC davanti all’ambasciata italiana di Stoccolma, riuscii a sensibilizzare anche Amnesty International al “caso Valpreda” (Amnesty inviò due osservatori a seguire il primo processo di Roma ed in seguito scrisse una lettera di sostegno alla mia richiesta di asilo politico in Svezia), feci molti interventi in assemblee pubbliche - tra cui ne ricordo una alla quale prese parte anche Dario Fò - per raccontare quello che stava avvenendo in Italia e della persecuzione contro gli anarchici. Ma, nonostante tutto ciò e le mie lettere pubbliche inviate alla stampa e alla magistratura - per sfidarla a chiedere la mia estradizione -, l'Italia non fece mai questa richiesta.

21.03.2010

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