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Violazione dell'art. 7 Cass n. 21296 del 5 giugno 2009

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CORTE DI CASSAZIONE
Sezione lavoro
sentenza 5 giugno - 6 ottobre 2009, n. 21296


La s.r.l. S. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 7 maggio 2005, che, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, ha accolto l’appello contro la decisione del Pretore di Nola del 14-28 ottobre 1998 ed ha dichiarato illegittimo il licenziamento di C.V. condannando la società ricorrente a reintegrarlo nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno.

Il ricorso è articolato in due motivi.

Il V. si è costituito con controricorso, chiedendo il rigetto dell’impugnazione, con vittoria di spese da distrarsi ai procuratori anticipatari.
Con il primo motivo si denunzia un vizio di motivazione, assumendo che la motivazione sarebbe stata “omessa” per “la tralasciata valutazione degli elementi di fatto e documentali tali da escludere la C.V. azione del principio di diritto enunciato dalla Cassazione inerente le modalità temporali di irrogazione del licenziamento ai sensi dell’art. 7, quinto comma, della legge 300 del 1970”.

La tesi della società è che la Corte d’appello nell’applicare il principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione in ordine alla illegittimità di un licenziamento disciplinare comminato prima della scadenza del termine indicato dal quinto comma dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, ha considerato solo l’episodio del 14 febbraio 1997, che effettivamente non era distanziato di cinque giorni rispetto al licenziamento comminato il 18 febbraio, mentre vi erano anche gli episodi del 10 e del 4 febbraio che comunque avrebbero legittimato il licenziamento.

Il motivo non è fondato. Deve premettersi che la Corte di cassazione affermò nella controversia in esame, con la sentenza n. 10972 del 25/07/2002, il seguente principio di diritto: “Il termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, prima della cui scadenza è preclusa, ai sensi dell’art. 7, quinto comma, legge n. 300 del 1970, la possibilità di irrogazione della sanzione disciplinare, ivi compreso il licenziamento, pur essendo stabilito per consentire al lavoratore di comunicare al datore di lavoro le sue giustificazioni, risponde ad una “ratio” più completa ed organica, ravvisabile non solo nella necessità di consentire al datore di lavoro di adottare la sanzione dopo aver conosciuto le difese dell’incolpato, ma anche nella necessità per lo stesso datore di lavoro di fruire di un tempo, anche se molto breve, di ripensamento e di raffreddamento, tale comunque da fargli adottare i più gravi provvedimenti con la necessaria ponderazione; conseguentemente, prima dell’intero decorso del detto termine non è consentito al datore di lavoro di irrogare il licenziamento, anche ove risulti che, prima della scadenza, il lavoratore abbia fornito tutte le proprie giustificazioni”.

Rinviò alla Corte d’Appello di Napoli per la definizione della controversia sulla base di questo principio di diritto.

Successivamente le Sezioni unite ribadirono il diverso principio già affermato nel 1994, e cioè che “il termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, prima della cui scadenza è preclusa, ai sensi dell’art. 7, quinto comma, della legge n. 300 del 1970, la possibilità di irrogazione della sanzione disciplinare, è funzionale soltanto ad esigenze di tutela dell’incolpato, mentre deve escludersi, in difetto di qualsiasi dato testuale, che la previsione di tale spazio temporale sia stata ispirata anche dall’intento di consentire al datore di lavoro un’effettiva ponderazione in ordine al provvedimento da adottare ed un possibile ripensamento; ne consegue che il provvedimento disciplinare può essere legittimamente irrogato anche prima della scadenza del termine suddetto allorché il lavoratore abbia esercitato pienamente il proprio diritto di difesa facendo pervenire al datore di lavoro le proprie giustificazioni, senza manifestare alcuna esplicita riserva di ulteriori produzioni documentali o motivazioni difensive” (Sez. U, Sentenza n. 6900 del 07/05/2003 (Rv. 562698).

Il giudice di rinvio era però vincolato ad applicare il principio affermato dalla Corte di cassazione nella specifica controversia, senza potersene discostare.
La ricorrente sostiene che la contestazione riguardava tre episodi, e che solo il terzo non era distanziato di cinque giorni dal successivo licenziamento.
L’affermazione però è proposta in C.V.zione del principio della autosufficienza del ricorso, perché non viene riportato il contenuto preciso della lettera di contestazione.
Inoltre, anche ammesso che la contestazione riguardasse, oltre all’episodio del 14 febbraio, anche episodi precedenti, l’affermazione di principio fatta dalla Corte di cassazione nella sua sentenza del 2002 non può che applicarsi facendo decorrere il termine dall’ultimo episodio.

Il secondo motivo concerne invece l’eccezione di aliunde perceptum rigettata dalla Corte d’Appello.

Questo motivo contiene una denunzia di vizio di motivazione per “omessa, contraddittoria insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia relativo alla mancata considerazione della prova della conoscenza da parte del datore di lavoro dell’aliunde perceptum. Contiene altresì una denunzia di C.V. azzione di legge e cioè degli artt. 1223, 2041, cc, nonché 394, 416, 436 e 437, cpc in tema di valutazione dell’eccezione di aliunde perceptum.

Il primo rilievo si sostanzia nella mancata valutazione del “dossier informativo, recante la data del 5 marzo 2004, prodotto all’udienza di discussione dopo averlo acquisito in seguito alla costituzione processuale”. Tale omissione avrebbe portato la Corte “a rilevare il falso dato della mancanza di prova della sussistenza di fatti sopravvenuti alla sentenza della Cassazione”. Il secondo rilievo si concentra sul fatto che l’eccezione formulata dalla società è stata ritenuta inammissibile in considerazione del carattere chiuso del giudizio di rinvio, mentre al contrario la stessa era proponibile anche in quella sede.

Deve ricordarsi che effettivamente l’eccezione di aliunde perceptum non può essere considerata eccezione in senso stretto (cfr, per tutte, Sezioni unite, 3 febbraio 1998, n. 1099) e può essere sollevata persino in sede di giudizio di rinvio.
Sul punto però la giurisprudenza ha operato alcune fondamentali precisazioni, da ultimo così puntualizzate (Sez. L, Sentenza n. 20500 del 25/07/2008 (Rv. 604553):
“benché si tratti di eccezione in senso lato, la stessa deve essere introdotta nel giudizio rite et recte (secondo la felice espressione di Cass. Sez. un. 3 febbraio 1998 n. 1099), nel senso cioè che le relative circostanze possono essere dedotte anche nel corso del procedimento ma solo nel rispetto di un principio di “tempestività di allegazione della sopravvenienza”, ossia di necessario impiego, sotto pena di decadenza, del primo atto difensivo utile successivo”.

Tale affermazione comporta una serie di conseguenze, indicate nella sentenza richiamata. La prima è che le richieste istruttorie devono tendere alla dimostrazione di fatti specificamente indicati, e non possono risolversi nella richiesta di un’indagine conoscitiva per accertare se il lavoratore dopo il licenziamento abbia eventualmente svolto un’attività retribuita. Quest’ultima si risolverebbe in un’indagine esplorativa che, in quanto tale, è inammissibile (Cass. 31 luglio 2002 n. 11359, 6 giugno 2003 n. 9060). La seconda è che se la deduzione risulta essere stata formulata nel solo giudizio di rinvio, è necessario che sia indicato “il momento di acquisizione della notizia da parte del datore di lavoro, al fine di consentire una verifica sulla tempestività dell’allegazione”.

Quindi è possibile formulare l’eccezione anche in sede di giudizio di rinvio per la prima volta, ma tale allegazione deve contenere l’indicazione del momento di acquisizione della notizia, in modo da consentire di verificare che la circostanza sia sopravvenuta o quanto meno che sopravvenuta sia la notizia della stessa alla parte che formula l’eccezione.
La Corte d’Appello di Napoli ha pertanto correttamente respinto l’eccezione sulla base della constatazione che non vi è stata allegazione e prova della esistenza di fatti sopravvenuti alla sentenza della Corte di cassazione o di una conoscenza sopravvenuta solo in tale epoca.
Il ricorso per cassazione sul punto contesta tale affermazione, ma lo fa genericamente e in C.V.zione del principio di autosufficienza. Genericamente perché non indica il periodo del rapporto di lavoro sopravvenuto, né indica in che data ne ha avuto conoscenza. In C.V.zione del canone dell’autosufficienza perché non riporta la parte del suo atto difensivo con la quale è stata formulata l’eccezione al fine di permettere di verificare se tali elementi erano stati forniti al giudizio in quella sede.

Pertanto il ricorso deve essere rigettato. Il cambio di orientamento giurisprudenziale rispetto alla sentenza di legittimità che ha indicato il principio da applicare sul tema oggetto del primo motivo induce a compensare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.