Nibirumail Cookie banner

Ingiuria - LEI E' un Incapace, LEI E' un Incopentente

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaE-mail

LE PAROLE "LEI E' UN INCAPACE, LEI E' UN INCOMPETENTE" RIVOLTE A UN
DIPENDENTE DAL SUPERIORE GERARCHICO POSSONO CONFIGURARE IL
REATO DI INGIURIA

- La critica non deve sconfinare nell'insulto (Cassazione Quinta
Sezione Penale n. 2927 del 22 gennaio 2009, Pres. Amato, Rel. Didone).

Il preside di una scuola è stato ritenuto dal Giudice di Pace responsabile del reato di ingiuria per avere rivolto a un insegnante, alla presenza degli studenti della sua classe, le parole: "lei è un incapace, lei è un incompetente". La sentenza è stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Massa. L'imputato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo di avere esercitato il diritto di critica, anche in considerazione dell'elevata indisciplina dimostrata dalla classe affidata all'insegnante redarguito.

La Suprema Corte (Quinta Sezione Penale n. 2927 del 22 gennaio 2009, Pres. Amato, Rel. Didone) ha dichiarato inammissibile il ricorso. Il Tribunale - ha osservato la Corte - ha correttamente applicato il principio per il quale "in tema di ingiuria, affinché una doverosa critica da parte di un soggetto in posizione di superiorità gerarchica ad un errato o colpevole comportamento, in atti di ufficio, di un suo subordinato, non sconfini nell'insulto a quest'ultimo, occorre che le espressioni usate individuino gli aspetti censurabili del comportamento stesso, chiariscano i connotati dell'errore, sottolineino l'eventuale trasgressione realizzata. Se invece le frasi usate, sia pure attraverso la censura di un comportamento, integrino disprezzo per l'autore del comportamento, o gli attribuiscano inutilmente intenzioni o qualità negative e spregevoli, non può sostenersi che esse, in quanto dirette alla condotta e non al soggetto, non hanno potenzialità ingiuriose". Con adeguata e logica motivazione - ha osservato la Corte - nella sentenza impugnata è spiegato che le espressioni rivolte dall'imputato alla persona offesa non riguardavano critiche legittime avanzate dal superiore gerarchico a uno specifico operato del dipendente, bensì la sfera personale di quest'ultimo di cui ledevano l'onore e il decoro, mettendone in dubbio la capacità e competenza di fronte a un'intera classe di alunni, nel mentre una legittima critica - con espressioni non offensive in sé - poteva essere espressa nelle sedi a ciò deputate (come nel corso di un consiglio di classe).

Legge e giustizia