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CAMBIAMENTO GIURISPRUDENZIALE

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CAMBIAMENTO GIURISPRUDENZIALE

IN MATERIA DI IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO

PER RAGIONI ORGANIZZATIVE

- Il lavoratore non è tenuto a indicare

la possibilità di reimpiego

(Cassazione Sezione Lavoro n. 12101 del 13 giugno 2016, Pres. Venuti, Rel. Manna).

Va rimeditato l'antico orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte secondo cui in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, l'onere del datore di lavoro di provare l'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte è sostanzialmente condizionato a che lo stesso lavoratore-attore collabori con il convenuto nell'accertamento di un possibile reimpiego, indicando gli altri posti in cui potrebbe essere utilmente riallocato.

Esigere che sia il lavoratore licenziato a spiegare dove e come potrebbe essere ricollocato all'interno dell'azienda significa, se non invertire sostanzialmente l'onere della prova (che - invece - l'art. 5 legge n. 604/66 pone inequivocabilmente a carico del datore di lavoro), quanto meno divaricare fra loro onere di allegazione e onere probatorio, nel senso di addossare il primo ad una delle parti in lite e il secondo all'altra, una scissione che non si rinviene in nessun altro caso nella giurisprudenza di legittimità. Invece, alla luce dei principi di diritto processuale, onere di allegazione e onere probatorio non possono che incombere sulla medesima parte, nel senso che chi ha l'onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o impeditivo, modificativo od estintivo dello stesso) ha altresì l'onere della relativa compiuta allegazione (sull'impossibilità di disgiungere fra loro onere di allegazione e relativo onere probatorio gravante sulla medesima parte v., ex aliis, Cass. n. 21847/14).

E siccome il creditore, provata la fonte legale o negoziale del proprio diritto, ha poi solo l'onere di allegare l'altrui inadempimento, mentre il debitore deve provare i fatti impeditivi, modificativi od estintivi della pretesa azionata (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 13533/01 e successiva conforme giurisprudenza), così il lavoratore, creditore della reintegra, una volta provata l'esistenza d'un rapporto di lavoro a tempo indeterminato risolto dal licenziamento intimatogli, deve solo allegare l'altrui inadempimento, vale a dire l'illegittimo rifiuto di continuare a farlo lavorare oppostogli dal datore di lavoro in assenza di giusta causa o giustificato motivo, mentre su questi incombe allegare e dimostrare il fatto estintivo, vale a dire l'effettiva esistenza d'una giusta causa o d'un giustificato motivo di recesso.

E in tale ultimo fatto estintivo (cioè nel giustificato motivo oggettivo di licenziamento) della cui prova è onerato il datore di lavoro rientra pure l'impossibilità del c.d. répéchage. Merita una rivisitazione critica anche l'unico fondamento teorico della precedente giurisprudenza. Infatti, non appare ipotizzabile un dovere dell'attore di cooperare con il convenuto affinché questi assolva all'onere probatorio che gli è proprio (dovere di cooperare che non figura menzionato in nessuna altra ipotesi nella giurisprudenza di questa Corte): il dovere di cooperazione fra le parti del rapporto opera solo sul piano sostanziale (v. artt. 1175 e 1206 c.c.), non su quello processuale, ispirato - invece - ad una leale, ma pur sempre dialettica, contrapposizione. Dunque, appare fuori dal sistema l'ipotesi ermeneutica che l'attore debba in qualche modo collaborare con il convenuto per facilitargli la prova riducendogli l'area del thema probandum mediante apposite allegazioni.

Deve notarsi, peraltro, che la conclusione qui accolta non espande oltre misura l'onere di allegazione e prova del datore di lavoro in tema di impossibilità del c.d. repéchage perché, una volta escluso che il lavoratore licenziato abbia il diritto di essere comparato ad altri colleghi di lavoro affinché la scelta del licenziamento cada su uno di loro, la prova dell'impossibilità del c.d. repéchage in sostanza si risolve nell'agevole dimostrazione di non avere posizioni lavorative scoperte o di averne in mansioni non equivalenti per il tipo di professionalità richiesta, queste ultime eventualmente già ricoperte o destinate ad esserlo mediante nuovi assunzioni.

Né l'individuazione, da parte del lavoratore, delle alternative possibilità di riutilizzo all'interno dell'azienda può intendersi come onere di contestazione (del giustificato motivo oggettivo), in mancanza del quale non sorge l'avverso onere probatorio. Un assunto del genere costituirebbe inesatta applicazione del principio di non contestazione che governa il rito speciale e ora, dopo la novella dell'art. 115 c.p.c. ad opera dell'art. 45 legge n. 69/09, anche quello ordinario. Infatti, già puramente e semplicemente negando, nell'atto introduttivo del giudizio, l'esistenza d'una giusta causa o d'un giustificato motivo di licenziamento il lavoratore-creditore allega l'altrui inadempimento e, nel contempo, preventivamente nega il fatto estintivo (la giusta causa o il giustificato motivo, appunto) che verrà poi eccepito da parte datoriale, con conseguente fissazione di quello che sarà il thema probandum.

E che giusta causa o giustificato motivo costituiscano fatti estintivi dell'altrui pretesa di proseguire il rapporto lavorativo (e non già che la loro mancanza integri fatto costitutivo del diritto del lavoratore) si evince dall'art. 5 legge n. 604/66, che attribuisce al datore di lavoro l'onere probatorio a riguardo, così implicitamente qualificando giusta causa e giustificato motivo come fatti estintivi. Ed è proprio l'art. 5 legge n. 604/66 che induce ad escludere che l'onere della prova dell'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni analoghe e quelle svolte in precedenza sia posto, anche solo in via mediata, a carico dei lavoratore sotto forma di onere di segnalare analoghe postazioni di lavoro cui essere assegnato (cfr. in tal senso Cass. n. 8254/92, richiamata più di recente da Cass. n. 4460/15).

Né può dirsi che l'impossibilità del repéchage costituisca autonomo fatto estintivo rispetto all'esistenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive tali da determinare la soppressione d'un dato posto di lavoro e, come tale, richieda un'apposita autonoma contestazione da parte del lavoratore: si tratta - invece - di due aspetti del medesimo fatto estintivo (il giustificato motivo oggettivo, appunto), fra loro inscindibili perché l'uno senza l'altro inidoneo a rendere valido il licenziamento (alla stregua della costante giurisprudenza sopra richiamata). Pertanto, avendo il lavoratore già preventivamente negato una giusta causa o un giustificato motivo di recesso, non deve formulare altra specifica contestazione a fronte delle contrarie allegazioni. In altre parole, la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati nell'atto introduttivo del giudizio non ribalta sull'attore l'onere di "contestare l'altrui contestazione", dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo. Diversamente, il processo si trasformerebbe in una sorta di gioco di specchi contrapposti che rinviano all'infinito le immagini riflesse, per cui ciascuna parte avrebbe sempre l'onere di contestare l'altrui contestazione e così via, in una sorta di agone dialettico in cui prevale l'ultimo che contesti (magari con mera formula di stile) l'avverso dedotto (come già osservato da Cass. n. 18046/14).

Ad analoghe conclusioni si perviene ove ci si ponga sotto la visuale della vicinanza alla concreta possibilità dell'allegazione, non diversamente da quanto accade, in materia di individuazione della parte onerata della prova, con l'utilizzo del principio di riferibilità o di vicinanza ad essa (per una delle sue molteplici applicazioni v., di recente, Cass. n. 1665/16).

Invero, mentre il lavoratore non ha accesso (o non ne ha di completo) al quadro complessivo della situazione aziendale per verificare dove e come potrebbe essere riallocato, il datore di lavoro ne dispone agevolmente, sicché è anche più vicino alla concreta possibilità della relativa allegazione.

E ciò è ancor più vero se si considera che, all'atto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni di carattere produttivo o tecnico-organizzativo, il riassetto aziendale è ancora tutto in divenire: ciò rende persino più difficile, per il dipendente, attingere alle informazioni (già di per sé quantitativamente e qualitativamente inferiori a quelle del datore di lavoro che tale riassetto abbia deciso) atte ad identificare concrete alternative postazioni ove essere utilmente ricollocabile.