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Transazione con "Rinuncia a ogni pretesa" Non esclude ......

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LA RINUNCIA DA PARTE DEL LAVORATORE A “OGNI PRETESA” IN UNA DICHIARAZIONE DI TRANSAZIONE RILASCIATA AL TERMINE DEL RAPPORTO, NON PRECLUDE LA SUCCESSIVA RICHIESTA DI PAGAMENTO DELL’INDENNITA’ PER FERIE NON GODUTE – In base all’art. 2113 cod. civ. (Cassazione Sezione Lavoro n. 16682 del 27 luglio 2007, Pres. Sciarelli, Rel. Miani Canevari).

Biagio  F., dipendente dell’Enel, nel 1997 ha risolto consensualmente il suo rapporto di lavoro, ricevendo un’indennità aggiuntiva al trattamento di fine rapporto. Egli ha dichiarato per iscritto di accettare la somma versatagli “anche a transazione di ogni pretesa”, di essere soddisfatto di ogni sua spettanza e di non avere più nulla a pretendere per alcun altro titolo. Tre mesi dopo la cessazione del rapporto egli ha impugnato la dichiarazione rilasciata all’azienda, ai sensi dell’art. 2113 cod. civ., chiedendo il pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute. In base all’art. 2113 cod. civ. le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili della legge e di contratti collettivi non sono valide ove siano impugnate entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto ovvero dalla data, successiva alla cessazione, in cui sono avvenute. Essendo stato rifiutato il pagamento, Biagio F. si è rivolto al Tribunale di Roma, che ha condannato l’Enel al pagamento dell’indennità richiesta, ritenendo priva di effetti la dichiarazione rilasciata dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto. L’Enel ha proposto appello sostenendo che si era verificata una transazione valida e non impugnabile in quanto doveva escludersi che la tutela prevista dall’art. 2113 cod. civ. concernesse anche il diritto risarcitorio relativo alla indennità sostitutiva delle ferie non godute.

La Corte d’Appello di Roma ha accolto l’impugnazione, riformando integralmente la decisione del Tribunale ed affermando che la domanda proposta dal lavoratore doveva ritenersi preclusa per effetto della dichiarazione da lui rilasciata. Biagio F. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Roma per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 16682 del 27 luglio 2007, Pres. Sciarelli, Rel. Miani Canevari) ha accolto il ricorso, richiamando la sua costante giurisprudenza secondo cui la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione (che il lavoratore ha l’onere di impugnare nel termine di cui all’art. 2113 cod. civ.) alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili “aliunde”, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi; infatti, enunciazioni in tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e  non sono sufficienti di per sé a comprovare l’effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell’interessato.

La decisione impugnata – ha osservato la Cassazione – non si è attenuta a questi criteri, perché la Corte territoriale ha ritenuto che l’espressione “anche a transazione di ogni pretesa” valga a dimostrare l’esistenza di un negozio transattivo, e non la mera presa d’atto della corresponsione di una somma, senza svolgere alcuna indagine per individuare, oltre a tale generica enunciazione, e per il concorso di ulteriori elementi di interpretazione contenuti nel documento o desumibili da circostanze diverse, la manifestazione della piena e chiara consapevolezza di specifici diritti e della volontà di abdicare ad essi (nella specie, il diritto alle competenze relative al trattamento per ferie e festività, al quale il documento non fa alcun riferimento).

Risulta poi non conforme a diritto – ha affermato la Suprema Corte – l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il “diritto risarcitorio” alla indennità sostitutiva delle ferie può essere oggetto di rinuncia o transazione non soggetta all’applicazione dell’art. 2113 cod. civ.; ai fini dell’applicazione di tale disciplina la qualificazione di indisponibilità dei diritti del lavoratore (in quanto “derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti e accordi collettivi”) non dipende infatti dalla loro natura retributiva o risarcitoria, né riguarda solo le situazioni soggettive derivanti dalla lesione di diritti fondamentali della persona; il diritto alla indennità sostitutiva delle ferie costituisce del resto oggetto di espressa previsione nella contrattazione collettiva.

La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, precisando che essa dovrà procedere all’interpretazione della dichiarazione di cui all’atto del 30 luglio 1997 al fine di stabilire se lo stesso contenga la manifestazione di volontà di abdicare al diritto in questione, soggetto alla disciplina dell’art. 2113 cod. civ.