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Licenziamento. Elemento Intenzionale e gravità del comportamento.

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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE LAVORO, SENTENZA N. 25222 DEL 3 DICEMBRE 2007
Presidente Ravagnani – Relatore Mammone
Pm Fedeli – conforme – Ricorrente Amsa Spa

Svolgimento del processo
Torini Mario si rivolse al giudice del lavoro di Milano impugnando il licenziamento irrogatogli all’esito di procedimento disciplinare dalla Azienda Milanese Servizi Ambientali (AMSA), ove svolgeva mansioni di capo turno addetto a sovrintendere all’attività di autisti ed operatori addetti alla raccolta dei rifiuti. Rigettata la domanda, su impugnazione del lavoratore con sentenza 13.7-2.8.05 la Corte di appello accogliendo l’appello annullava il licenziamento rilevando che la sanzione irrogata era sproporzionata in relazione alla mancanza addebitata (omissione di rapporto a proposito ad operazioni compiute da dipendenti in violazione delle modalità di conferimento di materiale ferroso).
Con il ricorso ora in esame l’Azienda, deducendo con unico motivo carenza di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c, chiede la cassazione della sentenza di merito in quanto essa, anche richiamando altra pronunzia avente ad oggetto fatti analoghi ma compiuti da dipendenti con diversa mansione, incorre in grave errore logico ritenendo il comportamento del Torini di scarsa gravità, senza tenere in considerazione che lo stesso aveva il compito di sorvegliare il corretto adempimento delle disposizioni aziendali e che proprio a questo compito egli era venuto meno nel momento in cui non aveva segnalato all’azienda le irregolarità riscontrate a carico degli altri dipendenti.
Non costituitosi l’intimato, rilevata l’opportunità della trattazione ai sensi dell’art. 375 c.p.c, sulle conclusioni del Procuratore generale sopra indicate, il ricorso è stato esaminato in camera di consiglio in data odierna.

Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
Al riguardo deve rilevarsi che questa Corte ha affermato che «per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento... occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare» (Cass. 19.8.03 n. 12161) e che l’accertamento in punto di gravità è riservato «all’apprezzamento-del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione ovvero, in riferimento alle pattuizioni collettive, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale» (Cass. 11.3.04 n. 5013 e 7.4.04 n. 6823).
Nel caso di specie, dato che la pronunzia impugnata procede comunque ad una autonoma discussione del caso, non sembra censurabile il riferimento ad un precedente della stessa Corte di appello riguardante fatti analoghi, in quanto per consolidata giurisprudenza di legittimità la motivazione per relationem deve considerarsi rituale quando il rinvio sia fatto ad altra sentenza, purché il giudice del gravame abbia dato conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento impugnato che le censure proposte (v. ex multis 3.2.03 n. 1539).
La pronunzia di merito è, invece, censurabile in punto di coerenza della motivazione in quanto, pur ammettendo la doverosità dell’intervento al momento dell’accertamento delle violazioni e riscontrando l’omissione delle segnalazioni interne nonostante fossero imposte «dal suo [del Torini] ruolo di coordinatore del personale e di capoturno», pur rilevando la maggiore gravità riconnessa a tali mancanze dal codice disciplinare, il giudice di merito ritiene non violato il vincolo fiduciario solo perché il dipendente in precedenza non aveva commesso precedenti infrazioni. Tale argomentazione evidenzia una grave carenza logica tra la premessa (esistenza dell’obbligo di denunzia in ragione del ruolo sovraordinato del dipendente, gravità della omissione) e la conclusione (insussistenza della violazione del vincolo fiduciario).
La rilevata carenza motivazionale vizia l’iter logico della pronunzia e conduce alla non consequenziale conclusione della permanenza del rapporto fiduciario tra il dipendente ed il datore di lavoro, affermata sulla base di circostanza (il non aver posto in atto precedenti infrazioni disciplinari) del tutto avulsa dal contesto in cui il comportamento risulta posto in essere.
Il ricorso è dunque fondato, di modo che l’impugnata sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale procederà a nuova valutazione del comportamento del dipendente alla luce delle considerazioni sopra indicate e provvederà per le spese anche del giudizio di cassazione.

PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese.