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Obbligo del ritiro della comunicazione Aziendale

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IL DIPENDENTE NON PUO’ RIFIUTARE DI RICEVERE UNA COMUNICAZIONE SCRITTA CHE GLI SIA RECAPITATA DALL’AZIENDA NEL LUOGO DI LAVORO – Per effetto della sua condizione di subordinazione

(Cassazione Sezione Lavoro n. 23061 del 5 novembre 2007, Pres. Senese, Rel. Monaci).

Roberto C., medico, è stato assunto alle dipendenze dell’Azienda Sanitaria Locale della provincia di Pavia, con patto di prova avente durata semestrale. Nell’ultimo giorno del semestre di prova egli è stato convocato da un dirigente della Asl che gli ha comunicato la volontà aziendale di porre termine al rapporto di lavoro in base al patto di prova e gli ha proposto di presentare le dimissioni. Poiché Roberto C. ha rifiutato di dimettersi, il dirigente gli ha chiesto di ritirare la comunicazione scritta di licenziamento, presentandogliela. Roberto C. ha rifiutato di prenderla. La segretaria del dirigente ha messo la lettera sul tavolo davanti a Roberto C. che non l’ha ritirata.

Il giorno dopo l’azienda non gli ha fatto prendere servizio. Il medico ha chiesto al Tribunale di Pavia, tra l’altro, di accertare che, non avendo egli ricevuto la comunicazione di recesso nel termine stabilito per il patto di prova, il rapporto di lavoro doveva ritenersi continuato a tempo indeterminato, con conseguente illegittimità del suo licenziamento. Il Tribunale ha rigettato la domanda. La Corte d’Appello di Milano ha confermato questa decisione osservando che la legge n. 604 del 1966 (disciplina dei licenziamenti individuali) non prescrive particolari forme per la consegna dell’atto di licenziamento, che, in dipendenza del potere disciplinare e direttivo cui è sottoposto, il lavoratore è tenuto a ricevere comunicazioni sul posto di lavoro e che perciò, nel caso in esame, il rifiuto di ricevere l’atto da parte del destinatario non escludeva che la consegna dovesse ritenersi avvenuta.

Roberto C. ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Milano per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 23061 del 5 novembre 2007, Pres. Senese, Rel. Monaci) ha rigettato il ricorso.

Se non sussiste un obbligo generale dei soggetti privati di ricevere comunicazioni a mano da altri soggetti privati – ha affermato la Corte – quest’obbligo può invece sussistere, in relazione alle circostanze, e purché non sia prescritto per legge o per contratto l’utilizzo di un mezzo specifico (ad esempio con lettera raccomandata, per telegramma, tramite fax, ecc.), quando i due soggetti privati siano già uniti da uno stretto vincolo contrattuale, che comporti, o possa comportare, una serie di comunicazioni reciproche, ed anche quella comunicazione specifica si inserisca all’interno del rapporto negoziale;

in particolare quest’obbligo si deve ritenere esistente, quando non sia previsto altrimenti, nell’ambito del lavoro subordinato in forza del vincolo che lega il prestatore al datore, e che comporta perciò, sia pure per ragioni funzionali al rapporto di lavoro e limitatamente ad esse, una soggezione del dipendente al datore di lavoro.

Nel caso in esame – ha rilevato la Corte -  la comunicazione concerneva il rapporto di lavoro ed è stata effettuata, recapitando a mano il documento scritto, all’interno della struttura sanitaria di cui era dipendente Roberto C., nell’ufficio di un altro sanitario incaricato della consegna;
in queste condizioni di tempo e di luogo sussisteva sicuramente un obbligo del dipendente di ricevere quel documento anche a mano.

E’ opportuno sottolineare, per chiarezza – ha precisato la Corte  – che altro è la forma della comunicazione ed altro il mezzo di trasmissione della comunicazione; nel caso di specie, trattandosi di licenziamento, la comunicazione doveva essere fatta per iscritto, ma non erano previste modalità specifiche per la trasmissione dello scritto; si debbono ritenere valide, perciò, tutte quelle modalità che comportino la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità.

Rientra perciò nell’ambito della trasmissione – ha affermato la Corte – anche il recapito a mano del documento personalmente al destinatario; né può rilevare che materialmente la consegna non abbia luogo quando non avvenga per il rifiuto del destinatario di ricevere il documento, anche perché l’interessato non può essere costretto a farlo; vale perciò il principio, previsto espressamente per le comunicazioni ufficiali tramite ufficiale giudiziario (art. 140 cod. proc. civ.), ma anche per le lettere raccomandate, che il rifiuto di ricevere l’atto equivale  a consegna.