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Licenziamento nullo. Versamento contributi

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In caso di annullamento del licenziamento, il datore di lavoro deve pagare i contributi previdenziali sulla retribuzione dovuta sino alla reintegrazione

– Anche se il risarcimento del danno sia stato liquidato in misura inferiore

– Nel caso di annullamento del licenziamento in base all’art. 18 St. Lav. con ordine di reintegrazione e condanna dell’azienda al risarcimento del danno, questo può essere determinato anche in misura inferiore alla retribuzione relativa al periodo della data del recesso e quella della reintegrazione.

In tal caso tuttavia il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi previdenziali su un importo commisurato all’intera retribuzione contrattualmente dovuta.

La previsione dell’art. 18 St. Lav. comporta una deroga alla disciplina comune dell’invalidità e dell’inefficacia, perché stabilisce, per il primo periodo decorrente dal licenziamento, non l’obbligo del datore di lavoro di pagare le retribuzioni, ma solo quello del risarcimento del danno; ma, oltre a questa norma derogatoria, non vi è alcuna altra disposizione in base alla quale possa escludersi l’operatività di tutte le conseguenze derivanti dalla adozione della tecnica di invalidità o inefficacia dell’atto, secondo la disciplina comune che trova certamente applicazione sul diverso piano del rapporto previdenziale. Secondo le regole di questo rapporto, la retribuzione deve considerarsi dovuta (con conseguente obbligo di contribuzione del datore di lavoro) in tutte le ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia in atto de jure, con esclusione dei casi in cui la prestazione lavorativa non viene resa per fatto imputabile al dipendente o per sospensione concordata, mentre in presenza di determinati eventi che impediscono la prestazione lavorativa non vi è obbligo di contribuzione, ma il periodo è ugualmente coperto da contribuzione figurativa a carico della collettività, per esigenze generali di tutela. Avuto riguardo a tali regole, nel rapporto tra datore di lavoro ed ente previdenziale non vi è alcuna norma che esoneri il primo dal pagamento dei contributi quando il rapporto di lavoro sia giuridicamente in atto e la retribuzione sia dovuta (perché la mancata prestazione lavorativa è imputabile esclusivamente al datore stesso); il limite posto al diritto del lavoratore alle retribuzioni dalla ricordata disposizione derogatoria alla disciplina comune opera solo sul piano del rapporto tra datore di lavoro e dipendente, ma non impedisce che la retribuzione sia da considerare dovuta ai fini della normale funzionalità del rapporto previdenziale.

L’obbligo contributivo – commisurato alla retribuzione contrattuale dovuta
– esiste perché esiste la obbligazione retributiva, e non viene meno se,  a causa del suo inadempimento, la prestazione originariamente pattuita si trasforma in altra di natura risarcitoria, perché siffatta trasformazione opera solo sul piano del rapporto tra datore e lavoratore, in cui l’interesse di quest’ultimo resta soddisfatto, secondo un criterio di equivalenza, mediante l’erogazione della prestazione risarcitoria.

Sul piano previdenziale, non rileva lo strumento solo indiretto attraverso il quale tale soddisfazione è assicurata, e l’obbligo contributivo resta commisurato alla retribuzione contrattualmente dovuta, operando pienamente, a questo fine, la disciplina dell’invalidità dell’atto di recesso.

Per questi rilievi non entrano in considerazione le fattispecie di contribuzione figurativa, in cui, come si è accennato, non vi è obbligo di contribuzione del datore di lavoro.

Non occorre neppure tener conto dell’ipotesi (che non riguarda il caso in esame) di un nuovo rapporto di lavoro instaurato nel periodo successivo al licenziamento dal dipendente illegittimamente estromesso, ipotesi per la quale si prospetta da parte della ricorrente l’impossibilità di coesistenza, con diversi rapporti di lavoro nello stesso periodo, di una pluralità di rapporti assicurativi.

La questione attiene alla tutela della posizione previdenziale assicurata al lavoratore nella specifica fattispecie, ma non incide sulla soluzione del problema della persistenza dell’obbligo contributivo a carico dell’originario datore di lavoro.

In conclusione, bisogna affermare che l’obbligazione contributiva resta commisurata all’effettivo importo delle retribuzioni maturate e dovute (nel senso precisato) nel periodo dal licenziamento alla data della sentenza di reintegrazione, anche se non coincidente con l’importo del danno liquidato in applicazione dei criteri di risarcimento fissati dalla norma in esame (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 15143 del 5 luglio 2007, Pres. Carbone, Rel. Miani Carnevari).