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Malattia. Il superamento del comporto deve essere comunicato

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IL LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO DI MALATTIA DEVE ESSERE TEMPESTIVO - Per rispetto delle esigenze di certezza (CassazioneSezione Lavoro n. 11342 dell'11 maggio 2010, Pres. Battimiello, Rel. Mammone).

Roberto I. dipendente di una società cooperativa, con mansioni di assistente domiciliare polifunzionale, è stato licenziato perché le sue assenze per malattia hanno raggiunto, in un triennio, un totale di 572 giorni, mentre il periodo di comporto previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria era di 365 giorni. Egli ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Messina sostenendo che esso doveva ritenersi illegittimo perché intempestivo, in quanto l'azienda lo aveva mantenuto in servizio per lungo tempo dopo il superamento del periodo contrattuale di comporto. Il Tribunale ha annullato il licenziamento. In grado di appello, la Corte di Messina ha confermato questa decisione, rilevando che dall'istruttoria era emerso che il datore era ben a conoscenza delle assenze e ne aveva tollerato la ripetitività anche dopo la maturazione del comporto, così ingenerando nell'interessato il convincimento dell'irrilevanza delle assenze stesse e dell'acquiescenza della controparte. La cooperativa ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo con il quale ha dedotto la violazione dell'art. 2110 cod. civ. e carenza di motivazione, sostenendo che in tema di superamento del periodo di comporto la tempestività del licenziamento non può ridursi alla mera considerazione del dato cronologico, ma deve essere il prodotto di una valutazione delle concrete circostanze di fatto; a tale onere il giudice di merito si sarebbe sottratto, non avendo considerato la circostanza, dedotta in giudizio, delle notevoli dimensioni della cooperativa e della particolare organizzazione sul territorio della sua attività, il che aveva ritardato le determinazioni degli organi preposti. Quanto alla tolleranza, rilevava, inoltre, che tra la maturazione del termine (gg. 365) ed il licenziamento (gg 572), il datore non aveva tenuto alcun atteggiamento tale da ingenerare il dubbio che non volesse recedere dal rapporto, anzi, il licenziamento era stato irrogato proprio al momento della cessazione del periodo di malattia, quando il dipendente si era ripresentato al lavoro.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 11342 dell'11 maggio 2010, Pres. Battimiello, Rel. Mammone) ha rigettato il ricorso. La giurisprudenza di legittimità - ha ricordato la Corte - ritiene che per il licenziamento per superamento del periodo di comporto, opera ugualmente il criterio della tempestività del recesso, sebbene, difettando gli estremi di urgenza che si impongono nell'ipotesi di giusta causa, la valutazione del tempo fra la data di detto superamento e quella del licenziamento - al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto - vada condotta con criteri di minor rigore che tengano conto delle circostanze significative, così contemperando da un lato l'esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall'altro, quella del datore di lavoro al vaglio della gravità di tale comportamento, soprattutto con riferimento alla sua compatibilità con la situazione del rapporto.

Nel caso di specie - ha osservato la Corte - il giudice ha proceduto ad una valutazione di merito circa l'atteggiamento del datore, in particolare ponendo in evidenza che quando erano maturate assenze già per 537 gg. egli aveva accettato la prestazione del dipendente senza l'adozione di alcun provvedimento, ritenendo tale iniziativa incompatibile con la volontà di recedere dal contratto e tale da giustificare l'affidamento dell'interessato; trattasi, dunque, di valutazione di merito congruamente motivata ed incensurabile in sede di legittimità.