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La tutela della personalità del lavoratore prevale su l'Organizzazione dell'Impresa

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L'esigenza di tutela della personalità del Lavoratore prevale su quella di Organizzazione dell'Impresa.

In base all'articolo 41 Cost. e all'art. 2087 cod. civ

(Cassazione Sezione Lavoro n. 18287 del 5 agosto 2010.

Presidente Sciarelli, Relatore Zappaia).

Erika D., dipendente della Stireria Z., ha rifiutato di effettuare alcune ore di lavoro straordinario richiestele, senza preavviso, dal titolare della ditta. Le sue colleghe Silvana P. e Barbara B. si sono dichiarate solidali con lei. Il datore di lavoro ha reagito con una serie di comportamenti restrittivi culminati nel divieto di usufruire del servizio mensa, e nella installazione di una struttura di cartone per separare le postazioni di lavoro delle tre dipendenti da quelle dei loro colleghi, pronunciando inoltre nei loro confronti parole ingiuriose. In seguito a ciò le lavoratrici si sono dimesse in tronco per giusta causa, dopo aver querelato il titolare della ditta, che in seguito è stato condannato, per ingiurie, dal Tribunale penale di Ferrara. L'azienda ha loro trattenuto l'indennità sostitutiva del preavviso. Le lavoratrici hanno chiesto al Tribunale di Ferrara, Sezione Lavoro, di accertare che esse erano state costrette a dimettersi a causa del comportamento illegittimo tenuto nei loro confronti dal datore di lavoro e di condannare il medesimo a corrispondere l'indennità sostitutiva del preavviso, a restituire quella indebitamente trattenuta e a risarcire il danno morale e biologico loro prodotto.

Il Giudice del lavoro ha rigettato il ricorso in quanto ha ritenuto non provati i denunciati comportamenti del datore di lavoro. Questa sentenza è stata in parte riformata dalla Corte di Appello di Bologna che ha ritenuto la sussistenza di una giusta causa di dimissioni e pertanto ha condannato l'azienda a pagare l'indennità sostitutiva del preavviso e a restituire quella trattenuta.

La Corte ha rilevato che nell'ambiente unico di lavoro in cui veniva svolta l'attività di stireria, era stato "apposto un paravento di cartone che delimitava lo spazio in due zone, l'una più ampia, entro la quale lavorava il personale e l'altra, più angusta e priva di luce autonoma, al cui ambito vennero destinate le lavoratrici ribelli ... Il dato obiettivo emerso è, pertanto, unicamente l'apposizione del paravento in cartone, che non solo creava scompenso di luce ed aria nell'ambiente di lavoro - in quanto chiudeva le ribelli in una sorta di angolo del preesistente unico spazio ... – ma determinava l'ulteriore, grave scompenso di natura psicologica, separando l'attività lavorativa delle une da quella delle altre dipendenti. La peculiare tipologia del lavoro svolto - attività di stiro industriale - di evidente aggravio fisico, per le emanazioni di vapore e flusso continuativo, è stata così ulteriormente appesantita dall'ulteriore, duplice ed ingiustificata circostanza dell'angustia spaziale e della separazione dal residuo contesto ambientale, alternativamente destinato alle lavoratrici acquiescenti".

L'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la Corte di Bologna, tra l'altro, per non avere indicato le norme di legge violate e per non avere tenuto conto delle esigenze organizzative dell'impresa.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 18278 del 5 agosto 2010, Pres. Sciarelli, Rel. Zappia) ha rigettato il ricorso, rilevando la conformità della decisione impugnata all'art. 41 Cost. che vieta all'imprenditore di ledere la dignità e la libertà del lavoratore e all'art. 2087 cod. civ. che tutela la salute e la personalità morale del lavoratore. L'effetto immediatamente precettivo dell'art. 41 Cost. - ha affermato la Corte - non può essere revocato in dubbio, né può condividersi il rilievo del ricorrente secondo cui la Corte d'Appello non avrebbe considerato le esigenze organizzative del datore di lavoro, ove si tenga presente che l'iniziativa economica datoriale non può in alcun modo svolgersi in maniera da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana del prestatore d'opera.

La Corte d'Appello - ha osservato la Cassazione – ha rilevato in buona sostanza come l'esercizio del potere organizzativo da parte del datore di lavoro (fra cui rientra l'adozione di tutti quei provvedimenti finalizzati ad una migliore coesistenza delle diverse realtà operanti sul posto di lavoro), quand'anche basato sull'intenzione, in linea di principio apprezzabile, di evitare conflittualità nell'ambiente di lavoro, non può essere esercitato, concretamente, in maniera da pregiudicare la posizione e le condizioni di lavoro dei singoli dipendenti; infatti, se pure al datore di lavoro faccia capo la facoltà di predisporre, anche unilateralmente, sulla base del potere di organizzazione e di direzione che gli compete ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ., norme interne di regolamentazione attinenti all'organizzazione del lavoro nell'impresa; questo potere non è privo di limiti, occorrendo a tal fine che il suo esercizio sia effettivamente funzionale alle esigenze - tecniche, organizzative e produttive - dell'azienda, e comunque non si traduca in una condotta che possa risultare pregiudizievole per l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori d'opera. Ciò in quanto - ha affermato la Corte - nell'equo bilanciamento dell'esigenza di funzionalità dell'impresa e di tutela delle condizioni di lavoro e del lavoratore, il legislatore ha chiaramente privilegiato, con la disposizione di cui all'art. 41 della Costituzione, ripresa dall'art. 2087 cod. civ., quest'ultimo profilo.

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