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Nel procedimento disciplinare il diritto alla difesa prevale........ Art. 7. S.L.

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NEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE IL DIRITTO DI DIFESA PREVALE SULLA TUTELA DELLA RISERVATEZZA - In base all'art. 24 Cost. (Cassazione Sezione Lavoro n. 18279 del 5 agosto 2010 Pres. Vidiri, Rel. De Renzis).

Pier Paolo G. dipendente dalla Vodafone Omnitel con qualifica impiegatizia è stato sottoposto a procedimento disciplinare, con l'addebito di avere tentato, durante l'orario di lavoro e nei locali aziendali, di baciare e toccare una collega. Nella lettera di contestazione è stato indicato il giorno dell'episodio ma non si è precisato il nome della persona asseritamente molestata. Il lavoratore ha risposto rilevando la genericità dell'addebito e contestandone comunque la fondatezza. Egli è stato licenziato. Il Tribunale di Napoli, al quale egli si è rivolto, ha annullato il licenziamento per violazione dell'art. 7 St. Lav., secondo cui gli addebiti contestati in sede disciplinare devono essere specifici, laddove nel caso in esame la mancata indicazione del nome della collega e delle modalità della asserita violenza non aveva consentito all'incolpato un'adeguata difesa. L'azienda ha proposto appello facendo presente, tra l'altro, di non avere indicato il nome della molestata per rispetto della sua "privacy". La Corte di Napoli ha rigettato l'impugnazione, osservando tra l'altro che la conoscenza del nome della persona molestata avrebbe permesso all'incolpato di contrapporre circostanze di tempo e di luogo incompatibili con la denuncia della lavoratrice e di evidenziare anche eventuali situazioni pregresse, tali da fornire una diversa lettura dei fatti. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza della Corte di Napoli,  per vizi di motivazione e violazione di legge, sostenendo, tra l'altro che la mancata indicazione del nome della persona offesa dovesse ritenersi ampiamente giustificata in base ai principi che presiedono alla tutela della privacy.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 18279 del 5 agosto 2010, Pres. Vidiri, Rel. De Renzis) ha rigettato il ricorso affermando che sull'esigenza di tutela della privacy prevale quella, presidiata dall'art. 24 Cost., di garantire l'esercizio del diritto di difesa. Nella motivazione della decisione della Suprema Corte, sul punto, leggesi: "Sono note le difficoltà di definire con una regola generale ed in maniera esaustiva l'ambito applicativo della privacy nei casi in cui si debba procedere ad individuare un equo bilanciamento tra tale diritto ed altro diritto anche esso a copertura costituzionale. Sul punto è stata rimarcata nella materia in esame l'esigenza che si pervenga ad un esito variabile così come patrocinato da una autorevole opinione dottrinale, che nei casi di contrapposizione di diritti garantiti dalla Carta Costituzionale parla di "gerarchia mobile". Principio questo da intendersi - non come rigida e fissa subordinazione di uno degli interessi all'altro - ma come concreta individuazione da parte del Giudice dell'interesse da privilegiare tra quelli antagonistici a seguito di una ponderata valutazione della specifica situazione sostanziale dedotta in giudizio con conseguente bilanciamento tra gli stessi, capace di evitare che  la piena tutela di un interesse possa tradursi nella limitazione dei quello contrapposto tanto da vanificarne o ridurne il valore contenutistico. Non si è mancato di osservare in dottrina - proprio in una materia attinente al diritto di riservatezza - che l'operazione di bilanciamento può condurre ad un arretramento di tutela dei dati personali tutte le volte in cui nel conflitto di interessi il grado di lesione della dignità dell'interessato sia di ridotta portata rispetto a quella che subirebbe il diritto antagonista, non potendo consentirsi all'interessato di trincerarsi dietro l'astratta qualificazione del suo diritto sì da limitare in maniera rilevante il diritto di difesa della controparte. La condivisione da parte di questa Corte di tale assunto induce ad affermare che il richiamo ad opera di una parte processuale al doveroso rispetto del diritto alla privacy - cui il legislatore assicura in sede giudiziaria idonei strumenti di garanzia - non può dunque legittimare, nei casi come quello in esame, una violazione del disposto di cui all'art. 24 Cost. che, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, non può incontrare nel suo esercizio ostacoli all'accertamento della verità materiale a fronte di addebiti suscettibili di determinare ricadute pregiudizievoli alla persona dell'incolpato ed alla sua onorabilità o - come nel caso in esame - anche alla perdita del diritto al posto di lavoro. Ragioni di completezza motivazionale inducono a evidenziare - con riferimento a fattispecie aventi ad oggetto il diritto alla riservatezza - come nella giurisprudenza di legittimità si riscontri ripetutamente l'affermazione che il giudice di merito debba effettuare in caso di contrapposizione di diritti una comparazione tra gli stessi al fine di trovare un giusto equilibrio tra le posizioni delle parti in lite (cfr. al riguardo: Cass. 30 giugno 2009 n. 15327, secondo cui la riservatezza dei dati personali debba recedere qualora il relativo trattamento sia esercitato per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante e nei limiti in cui sia necessario per la tutela dello stesso,  cui adde - con espresso riferimento al codice della privacy di cui al d.lgs. 193 del 2003 - e sempre per la necessità di una valutazione comparativa tra il diritto protetto dalla suddetta normativa ed il rango del diritto azionato.

Cass. 7 luglio 2008 n. 18584)".