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Licenziamento Disabile. Nel periodo di prova. Nullo.

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IL LICENZIAMENTO DI UNA LAVORATRICE DISABILE DURANTE IL PERIODO DI PROVA PUO' ESSERE RITENUTO ILLEGITTIMO - Se ha correttamente svolto la prestazione lavorativa (Cassazione Sezione Lavoro n. 21965 del 27 ottobre 2010, Pres. Vidiri, Rel. Meliadò).

Isabella M., disabile, è stata assunta con patto di prova dalla S.r.l. Policlinico San Marco, per collocamento obbligatorio. Successivamente, nel luglio del 2003, al termine del periodo di prova, ella è stata licenziata per mancato superamento della stessa; ha quindi impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Bergamo, facendo presente di avere sempre correttamente svolto le mansioni assegnatele. Il Tribunale, con sentenza del dicembre 2004, ha rigettato la domanda, ma la sua decisione è stata riformata, in grado di appello, dalla Corte di Brescia che, con sentenza del marzo 2006, ha dichiarato illegittimo il licenziamento ed ha condannato l'azienda al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni non percepite sino all'intervenuto reperimento di altra occupazione.

La Corte territoriale ha osservato che il licenziamento doveva ritenersi elusivo delle disposizioni poste a tutela dei lavoratori disabili, atteso che la lavoratrice aveva sin dall'inizio del giudizio sostenuto di aver svolto del tutto correttamente le mansioni affidatele, senza alcun richiamo o contestazione, e che tale circostanza non solo non era stata contrastata dalla controparte, ma era stata data per certa dallo stesso giudizio di primo grado; ragion per cui doveva ritenersi che la prova aveva avuto esito positivo.

La lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la Corte di Brescia non avrebbe dovuto limitarsi a condannare l'azienda al risarcimento del danno, ma avrebbe dovuto ordinare la sua reintegrazione nel posto di lavoro, in base all'art. 18 St. Lav.. L'azienda ha resistito proponendo ricorso incidentale e sostenendo di avere correttamente esercitato il diritto di recesso nel periodo di prova e che incombeva alla lavoratrice provare l'eventuale illiceità del motivo del licenziamento.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 21965 del 27 ottobre 2010, Pres. Vidiri, Rel. Meliadò), ha rigettato entrambi i ricorsi. Se il licenziamento del lavoratore in prova, per effetto dell'art. 10 L. n. 604/66, rientra nell'area della recedibilità acausale - ha affermato la Corte - non per questo può ammettersi che l'esercizio del diritto potestativo riconosciuto al datore di lavoro possa risolversi nel mero arbitrio del suo titolare, dal momento che l'ordinamento, comunque, assegna "garanzia costituzionale al diritto di non subire un licenziamento arbitrario" (Corte Cost. n. 541/2000); ne deriva che, pur restando l'atto di recesso del datore di lavoro estraneo al regime comune del licenziamento - fra l'altro in punto di motivazione, oneri probatori e di sanzioni - il lavoratore potrà sempre dimostrare che l'atto di recesso sia stato determinato da motivi illeciti, fra i quali ben può rientrare lo svolgimento della prova in mansioni incompatibili con lo stato di invalidità o la finalizzazione del recesso, adottato nonostante il positivo superamento dell'esperimento, alla mera elusione della disciplina sul collocamento dei disabili, dovendosi qualificare per definizione (come avvertito dalla stessa Corte Costituzionale), licenziamento in frode alla legge quello finalizzato al solo obiettivo di aggirare il sistema delle assunzioni obbligatorie. In tal contesto - ha affermato la Cassazione - è riservato al giudice di merito, il cui apprezzamento, se correttamente motivato, resta esente dal sindacato di legittimità, verificare l'effettiva idoneità dei fatti allegati dal lavoratore a dar conto, anche attraverso presunzioni, del superamento dei limiti posti al potere dell'imprenditore.

Nel caso in esame - ha osservato la Cassazione -la Corte territoriale ha accertato che, avendo la ricorrente sin dall'atto introduttivo allegato di aver svolto correttamente tutte le mansioni affidatele, senza ricevere alcun richiamo o contestazione, tale circostanza non solo non aveva rinvenuto contestazione nelle difese della controparte, ma "era stata data per certa dallo stesso giudice" di primo grado; ragion per cui dalla mancata contestazione del datore di lavoro ben poteva inferirsi che il recesso non trovava altra motivazione "se non la stessa invalidità".

Le sanzioni applicabili in caso di licenziamento illegittimo nel periodo di prova - ha aggiunto la Corte - sono quelle proprie della nullità degli atti negoziali contrari a norme di diritto (art. 1418 cod. civ.); escluso che l'illegittimità del recesso trovi sanzioni nei rimedi ripristinatori previsti dall'art. 18 dello Statuto, ben può, tuttavia, riconoscersi, a fronte della nullità del licenziamento, il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, secondo i principi comuni (artt. 1223 ss cod. civ.) e, quindi, tenendo conto anche delle utilità economiche che lo stesso avrebbe percepito ove il recesso non fosse stato determinato da finalità illecite o, comunque, fraudolente e l'esperimento avesse avuto regolare svolgimento. Più in particolare, ove si accerti, come nel caso, il positivo superamento della prova - ha affermato la Corte - deve ritenersi che correttamente il giudice di merito provveda a quantificare il danno con riferimento alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito ove il rapporto di lavoro avesse avuto regolare esecuzione, ricollegandosi lo scioglimento del rapporto ad un comportamento antigiuridico del datore di lavoro e determinando tale comportamento un danno risarcibile qualificabile come pregiudizio da mancata assunzione.