Nibirumail Cookie banner

Contributo Sindacale. Deve essere effettuato.

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaE-mail

L'Elevato numero dei Dipendenti non Giustifica la Mancata Trattenuta del Contributo Sindacale

In seguito a cessione di credito (Cassazione Sezione Lavoro n. 9049 del 20 aprile 2011, Pres. Vidiri, Rel. Curzio).

Numerosi dipendenti della s.p.a. Poste Italiane hanno comunicato alla datrice di lavoro la parziale cessione del loro credito per retribuzione al sindacato Cobas PT, cui aderiscono, in tal modo intendendo provvedere al versamento dei contributi sindacali. L'azienda non ha aderito alla richiesta, sostenendo che tale meccanismo avrebbe comportato un adempimento eccessivamente gravoso per i suoi uffici.

Il Cobas PT aderente al Cub di Padova ha promosso nei confronti dell'azienda un procedimento in base all'art. 28 Statuto Lav. per repressione di comportamento antisindacale sostenendo che il rifiuto opposto al versamento dei contributi non era giustificato ed ostacolava gravemente l'attività sindacale.

Il ricorso è stato rigettato dal Tribunale di Padova sia in sede cautelare che nella successiva fase di opposizione. La decisione del Tribunale è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia che ha motivato la sua decisione affermando: "nel caso in esame la società appellata, insistendo sul suo diniego ad effettuare le trattenute,ha anche giustificato lo stesso in relazione al numero dei suoi dipendenti, indicato in circa 150.000.

La circostanza non è stata mai contestata e, in ogni caso (per lo meno con riferimento ad un numero elevatissimo di dipendenti) può ritenersi un fatto notorio ... tale da far ritenere eccessivamente gravoso l'adempimento richiesto e, di conseguenza giustificato il rifiuto di cui è causa". Sulla base di tale ragionamento la Corte ha escluso l'antisindacalità del comportamento. Il Cobas ha presentato ricorso per cassazione formulando il seguente quesito di diritto: "nel caso di cessione del credito retributivo al sindacato per adempiere agli obblighi associativi e del relativo adempimento da parte del datore di lavoro con il pagamento,l'eccessiva gravosità che sola può giustificare l'inadempimento, da identificare in concreto con l'applicazione del precetto di buona fede e correttezza, a norma dell'art. 1218 cod. civ., deve essere provata da debitore - datore di lavoro, il quale deve provare la giustificatezza dell'inadempimento. Non sussiste quindi tale aggravamento quando il debitore non deduce altro aggravio diverso e maggiore rispetto a quello conseguente a qualsiasi cessione parziale di credito (nella specie il solo dedotto è il numero dei dipendenti della società convenuta.

Erra dunque la sentenza impugnata, per motivazione insufficiente o illogica, nel ritenere tale fatto in sé solo idoneo a definire la gravosità della prestazione)".

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 9049 del 20aprile 2011, Pres. Vidiri, Rel. Curzio), ha accolto il ricorso. Il referendum del 1995, abrogativo dell'art. 26 Statuto Lav., comma 2, e il susseguente D.P.R. n. 313 del 1995 - ha osservato la Corte - non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro; è soltanto venuto meno il relativo obbligo; pertanto, ben possono i lavoratori, nell'esercizio della propria autonomia privata ed attraverso lo strumento della cessione del credito in favore del sindacato,richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato stesso.

La cessione - ha affermato la Corte - non necessità, in via generale, del consenso del debitore. Qualora il datore di lavoro affermi che la cessione comporti in concreto, a suo carico, un nuovo onere aggiuntivo insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale e perciò inammissibile ex artt. 1374 e 1375 cod. civ., deve provarne l'esistenza. L'eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso – ha osservato la Corte - non incide sulla validità e l'efficacia del contratto di cessione del credito, ma può giustificare l'inadempimento del debitore ceduto,finché il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi.

Il rifiuto del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività. Nel caso in esame, il datore di lavoro doveva provare che la cessione comporta un nuovo onere aggiuntivo "insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale" e perciò inammissibile ex artt. 1374 e 1375 cod. civ..

La Corte di Venezia ha ritenuto provato tale elemento affermando che l'elevato numero dei dipendenti (non contestato da controparte e comunque notorio) è "tale da far ritenere eccessivamente gravoso l'adempimento richiesto e, di conseguenza giustificato il rifiuto di cui è causa".

Tale motivazione - ha affermato la Cassazione -deve ritenersi inadeguata; non può ritenersi sufficiente una motivazione che ritiene provata la insostenibilità dell'onere in ragione, esclusivamente, dell'elevato numero di dipendenti dell'azienda (dipendenti in generale, sindacalizzati e non, che abbiano o non abbiamo richiesto di operare la trattenuta dei contributi sindacali); un'impresa con un elevato numero di dipendenti di norma avrà una struttura amministrativa parametrata alla sua dimensione. Il numero dei dipendenti non può, da solo - ha osservato la Corte -fondare la decisione; se tale criterio dovesse essere considerato esaustivo e dirimente, si perverrebbe alla conclusione che le imprese di medie e piccole dimensioni sarebbero tenute a operare le trattenute sindacali richieste dai lavoratori, mentre tale onere non varrebbe per le imprese di grandi dimensioni; con un risultato palesemente iniquo e non conforme ai principi di diritto che regolano la materia.