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L. Fabbri. Anarchia e Comunismo Scientifico. 2° parte

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Anarchia e comunismo

Una mala abitudine, contro cui occorre reagire, è quella presa da qualche tempo dai comunisti autoritari di opporre il comunismo all'anarchia, come se le due idee fossero necessariamente contraddittorie; l'abitudine di usare questi due termini comunismo ed anarchia come se fossero tra loro antagonistici, e l'uno avesse un significato opposto all'altro.
In Italia, dove da più di quarant'anni queste parole si adoperano come un binomio inscindibile, di cui l'un termine completa l'altro, ed insieme uniti sono l'espressione più esatta del programma anarchico, questo tentativo di non tener conto d'un precedente storico di tale importanza e di rovesciare addirittura il significato delle parole, è ridicolo e non può che servire a generare confusione nelle idee ed infiniti malintesi nella propaganda.
Non è male ricordare che fu proprio un congresso delle Sezioni Italiane della prima Internazionale dei lavoratori, tenuto clandestinamente nei dintorni di Firenze nel 1876, che, su proposta motivata di Errico Malatesta, per il primo affermò essere il comunismo la sistemazione economica che meglio poteva render possibile una società senza governo; e l'anarchia (cioè l'assenza d'ogni governo), come organizzazione libera e volontaria dei rapporti sociali, essere il mezzo di migliore attuazione del comunismo. L'una è la garanzia d'un effettivo realizzarsi dell'altro, e viceversa. Di qui la formulazione concreta, come ideale e come movimento di lotta, del comunismo-anarchico. Ricordavamo altrove 8 che nel 1877 l'"Airbeiter Zeitung" di Berna elaborava gli statuti di un "Partito Anarchico Comunista di lingua tedesca"; e nel 1880 il Congresso della Federazione Internazionalista del Giura a Chaux-de-Fonds approvava una memoria presentata da Carlo Cafiero su "Anarchia e Comunismo" sempre nello stesso senso. Gli anarchici allora si chiamavano in Italia più comunemente socialisti; ma quando volevano precisare (Vedi L. FABBRI, Dittatura e Rivoluzione, pag. 140.) si chiamavano, come si son chiamati sempre da quel tempo in poi fino ad oggi, comunisti-anarchici.
Più tardi Pietro Gori Soleva appunto dire che di una società, trasformata dalla rivoluzione secondo le nostre idee, il socialismo (comunismo) costituirebbe la base economica, mentre l'anarchia ne sarebbe il coronamento politico.
Queste idee, come precisazione del programma anarchico, hanno acquistato, come suol dirsi, diritto di cittadinanza nel linguaggio politico sin dal tempo in cui la Prima Internazionale dette gli ultimi segni d'attività in Italia (1880-32). Tale definizione o formula dell'anarchismo il Comunismo -anarchico- era accettata nel loro linguaggio anche dagli altri scrittori socialisti, i quali quando volevano specializzare il proprio programma di riorganizzazione sociale dal punto di vista economico, parlavano non di comunismo ma di collettivismo, e si dicevano infatti collettivisti.
Ciò fino al 1918; vale a dire finché i bolscevichi russi, per differenziarsi dai social-democratici patrioti o riformisti, non decisero di mutare nome, riprendendo quello di "comunisti" che si richiama alla tradizione storica del celebre Manifesto di Marx ed Engels del 1847, e che prima del 1880 era adoperato in senso autoritario e socialdemocratico esclusivamente dai socialisti tedeschi. Poco per volta quasi tutti i socialisti aderenti alla III Internazionale di Mosca hanno finito col dirsi comunisti, senza tenere alcun conto del cambiato significato della parola, del mutato uso che se ne fa da quarant'anni nel linguaggio popolare e proletario e delle mutate situazioni nei partiti dal 1870 in poi -commettendo così un vero e proprio anacronismo.
Ma questo riguarda i comunisti autoritari e non noi; né da parte nostra vi sarebbe ragione alcuna di discutere la cosa, se essi si fossero affrettati, cambiando nome, a spiegare chiaramente quale cambiamento d'idee corrisponda al cambiamento della parola. I socialisti trasformatisi in comunisti hanno certo assai modificato il loro programma da quello che era stato fissato al Congresso del Partito dei Lavoratori a Genova, per l'Italia, nel 1892, ed a Londra, per l'Internazionale socialista, al Congresso del 1896. Ma la modificazione del programma verte tutta ed esclusivamente sui metodi di lotta (adozione della violenza, svalutazione del parlamentarismo, dittatura invece che democrazia, ecc.); e non riguarda l'ideale di ricostruzione sociale, cui unicamente le parole comunismo e collettivismo possono riferirsi.
Per quel che riguarda il programma di riorganizzazione sociale, di assetto economico della società futura, i socialisti-comunisti non l'hanno modificato in nulla; non se ne sono affatto occupati. In realtà, sotto il nome di comunismo è sempre il vecchio programma collettivista autoritario che sussiste -con, in un sfondo lontano, molto lontano, la previsione della scomparsa dello Stato che si addita alle folle nelle occasioni solenni, per stornare la loro attenzione dalla realtà di una nuova dominazione, che i dittatori comunisti vorrebbero loro mettere sul collo in un avvenire più prossimo.
Tutto ciò è fonte di equivoci e di confusione tra i lavoratori, ai quali viene detta una cosa con parole che ad essi ne fan credere un'altra.
La parola comunismo fin dai più antichi tempi significa non un metodo di lotta, e ancor meno tino speciale modo di ragionare, ma un sistema di completa e radicale riorganizzazione sociale sulla base della comunione dei beni, del godimento in comune dei frutti del comune lavoro da parte dei componenti di una società umana, senza che alcuno possa appropriarsi del capitale sociale per suo esclusivo interesse con esclusione o danno di altri. È un ideale di riorganizzazione economica della società, comune a parecchie scuole del socialismo (compresa l'anarchia; né furono punto i marxisti a formularlo pei primi. Marx ed Engels scrissero bensì un programma per il partito comunista tedesco nel 1847, tracciandone le direttive teoriche e tattiche; ma il partito comunista c'era già prima di loro, e la concezione del comunismo essi l'accettarono dagli altri, e non furono affatto loro a crearla.
La concezione comunista, in quel magnifico laboratorio d'idee che fu la Prima Internazionale, si venne sempre più precisando; ed acquistò quel suo particolare significato, in confronto del collettivismo, che verso il 1880 concordemente accettarono nel Linguaggio politico-sociale tanto gli anarchici che i socialisti: da Carlo Marx a Carlo Cafiero, da Benedetto Malon a Gnocchi Viani. Da allora per comunismo si è sempre inteso un sistema di produzione e distribuzione della ricchezza nella società socialista, il cui indirizzo pratico era sintetizzato nella formulala: da ciascuno secondo le sue forze e capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni Il comunismo degli anarchici, integrato sul terreno politico dalla negazione dello Stato, era ed è inteso in questo senso, per significare con precisione un sistema pratico di attuazione socialista dopo la rivoluzione, che corrisponde tanto al significato etimologico quanto alla tradizione storica.
I neo-comunisti invece per "comunismo" intendono soltanto o prevalentemente l'insieme di alcuni metodi di lotta e dei criteri teorici da essi adottati nella discussione e nella propaganda. Alcuni si riferiscono al metodo della violenza o terrorismo statale, che dovrebbe imporre per forza il regime socialista; altri vogliono significare con la parola "comunismo" il complesso di teorie che vanno sotto il nome di marxismo (lotta di classe, materialismo storico, conquista del potere, dittatura proletaria, ecc.);
La formula, dei collettivisti era invece (a ciascuno il frutto del suo lavoro oppure a ciascuno a seconda del suo lavoro). Inutile il dire che queste formule vanno intese in un senso approssimativo, come indirizzo generale, e non in modo assoluto e con carattere dogmatico, come pure per un ceno tempo vennero adoperate.altri ancora un puro e semplice metodo di ragionamento filosofico, come il metodo dialettico. Alcuni lo chiamano, perciò, -accoppiando insieme parole che non hanno fra loro alcun nesso logico- comunismo critico, ed altri comunismo scientifico.
Secondo noi, tutti costoro sono in errore; poiché le idee ed i metodi di cui sopra potranno essere condivise ed adoperati anche dai comunisti, ed essere più o meno conciliabili col comunismo, ma da soli non sono il comunismo né bastano a caratterizzarlo, mentre potrebbero benissimo conciliarsi con altri sistemi del tutto diversi e magari contrari al comunismo. Se volessimo divertirci con dei bisticci, potremmo affermare che nelle dottrine ne dei comunisti dittatoriali v'è di tutto un po’, ma qualche più vi manca è precisamente il comunismo.
Noi non contestiamo affatto -ci s'intenda bene- il diritto ai comunisti autoritari di chiamarsi come loro pare e piace e d'adottare un nome che è stato soltanto nostro per quasi mezzo secolo e che non abbiamo intenzione alcuna di rinnegare. Sarebbe da parte nostra una pretesa ridicola. Ma quando i neo         -comunisti discutono d'anarchia e con gli anarchici, essi hanno l'obbligo morale di non fingere d'ignorare il passato, hanno l'elementare dovere di non appropriarsi del nome fino al punto di farsene un monopolio, fino a creare fra i due termini -comunismo ed anarchia- una incompatibilità artificiale quanto bugiarda.
Quando essi ciò fanno dimostrano di mancare d'ogni criterio d'onestà polemica.
Tutti sanno come il nostro ideale, sintetizzato nella parola anarchia, preso nel suo contenuto programmatico di organizzazione libertaria del socialismo, si è sempre chiamato comunismo anarchico. Quasi tutta la letteratura anarchica è socialista in senso comunista fin dalla fine della Prima Internazionale. Il collettivismo legalitario e statale da un lato ed il comunismo anarchico e rivoluzionano dall'altro, erano le due scuole in cui si divideva principalmente il socialismo fino allo scoppio della Rivoluzione Russa nel 1917. Quante polemiche, dal 1880 al 1918, non abbiamo sostenuto con i socialisti marxisti, gli odierni neo-comunisti, in sostegno dell'ideale comunista contro il loro collettivismo da caserma germanica!
Orbene, il loro ideale di riorganizzazione futura è rimasto il medesimo, ed anzi ha accentuato il suo carattere autoritario. Fra il collettivismo che era allora oggetto delle nostre critiche ed il comunismo dittatoriale odierno, la differenza è solo nei metodi ed in qualche motivazione teorica, non sul fine immediato da raggiungere. Esso si riallaccia, è vero, al comunismo di Stato dei socialisti tedeschi di prima del 1880, -il Volkstaat, stato popolare-, di cui Bakounine fece una critica così corrosiva; ed anche al socialismo di governo di Luigi Blanc, confutato così brillantemente da Proudhon. Ma vi si riallaccia solo dal punto di vista secondario politico, del metodo rivoluzionario-statale, non dal punto di vista economico suo proprio, -organizzazione della produzione e distribuzione dei prodotti-, su cui Marx e Blanc avevano vedute assai più larghe e geniali di questi tardissimi loro eredi.
Il dissenso, il contrasto, non è dunque tra anarchia e comunismo più o meno "scientifico", bensì tra il comunismo autoritario statale, spinto fino al dispotismo dittatoriale, ed il comunismo anarchico o antistatale con la sua concezione libertaria della rivoluzione.
Ché se d'una contraddizione in termini si dovesse parlare, questa la si dovrebbe cercare non tra il Comunismo e l'Anarchia, che si integrano al punito che l'uno non è possibile senza l'altro, ma piuttosto tra Comunismo e Stato. Finché v'è Stato o governo, non v'è comunismo possibile. Per lo meno la loro conciliazione è così difficile e con subordinata al sacrificio d'ogni libertà e dignità umana, da farla ritenere impossibile oggi che lo spirito di rivolta, d'autonomia e di libera iniziativa e con diffuso tra le masse, affamate non soltanto di pane, ma anche di libertà.

La Rivoluzione Russa e gli anarchici.

La freccia del Parto, che ci lanciano contro i Comunisti autoritari, quando non hanno più altri argomenti da oppone alle nostre solide ragioni, è di dipingerci come "nemici della Rivoluzione Russa"-
Poiché noi combattiamo la concezione dittatoriale della rivoluzione, d'accordo in ciò coi nostri compagni russi, rilevando a sostegno delle nostre argomentazioni le conseguenze funeste dell'indirizzo dittatoriale della Russia rivoluzionaria e mettendo in luce i gravi errori di quel governo, solo per questo si dice che noi combattiamo la Rivoluzione Russa.
Non si tratta qui soltanto di una ingiusta accusa: essa è una menzogna ed una calunnia insieme.Se la causa della Rivoluzione è la causa della libertà e della giustizia, non astratte ma pratiche, vale a dire se è la causa del proletariato, della liberazione di questo da ogni servaggio politico ed economico, da ogni sfruttamento ed oppressione statale o privata; se la Rivoluzione è la causa dell'eguaglianza sociale, noi potremmo a buon diritto sostenere che gli unici ormai restati fedeli alla Rivoluzione russa, alla rivoluzione fatta da tutto il popolo lavoratore russo, sono gli anarchici.
Noi comprendiamo che in tempo di rivoluzione, per un periodo non breve, molte debbono essere le spine per tutti, e più di tutto pei rivoluzionari, e pochissime le rose. Non ci facciamo illusioni in proposito. Ma una rivoluzione cessa di essere tale se, sia pure per poco, non è, e non segna, un miglioramento per le grandi masse, non assicura ai proletari un benessere maggiore, o almeno non è evidente ai loro occhi che, cessate certe difficoltà passeggere, il benessere vi sarà. Cessa di essere rivoluzione se questa non significa in pratica un ampliamento di libertà di pensiero e d'azione, in tutte le sue manifestazioni non ledenti la libertà altrui, per tutti coloro ch'erano oppressi dal vecchio regime.
Questi sono i concetti e sentimenti che ci guidano nella nostra propaganda e nella nostra polemica. Propaganda e polemica che non sono affatto animate da spirito settario, e tanto meno da asti o da interessi personali; e che non proseguiamo affatto per un puro esercizio critico e dottrinario. Noi sappiamo di adempiere un duplice dovere, invece, d'importanza politica immediata.
Lo studio della rivoluzione russa, la luce gettata sugli errori di coloro che la governano, la critica al sistema bolscevico che colà ha trionfato, da un lato è per noi un dovere di solidarietà politica coi nostri compagni russi, che per avene le nostre idee, per sostenere il nostro punto di vista -che noi crediamo più rispondente agli interessi della rivoluzione e del proletariato- in Russia vengono da quel governo privati d'ogni libertà, perseguitati, imprigionati, esiliati e taluni mandati alla morte.
Dall'altro lato è un dovere mettere in luce l'errore bolscevico, perché se una crisi consimile si determinasse nei paesi occidentali, il proletariato si guardi bene dal mettersi per una via, dal sottomettersi ad un indirizzo che noi sappiamo ormai per esperienza diretta significare il naufragio della rivoluzione.
Se cosi pensiamo, se di ciò siamo profondamente persuasi il che i nostri avversari non possono mettere in dubbio, perché non vi sono altri interessi o passioni che possono deviare a tal proposito il nostro spirito –noi abbiamo il dovere, come anarchici e come rivoluzionari, di non tacere. Ma significa tutto ciò che noi ci mettiamo contro la Rivoluzione russa?
La Rivoluzione russa è il fatto storico più grandioso dei nostri tempi.
Affrettata e facilitata da una enorme causa, la guerra mondiale, ha superato questa in grandezza ed importanza. Se essa fosse riuscita, se riuscisse, se riuscirà -come noi malgrado tutto vogliamo sempre augurarci- a spezzare le catene del salariato che avvincono la classe operaia, se alle conquiste delle rivoluzioni precedenti aggiungerà quella dell'uguaglianza economica e sociale, della libertà per tutti non solo di diritto ma di fatto, vale a dire con la possibilità materiale per tutti di fruirne, la Rivoluzione russa supererà in importanza storica la stessa rivoluzione francese del 1789-93.
Se la guerra mondiale non sarà riuscita a stroncare netta ogni speranza di resurrezione per gli oppressi nel mondo, se a causa sua gli uomini non saranno stati respinti per secoli, e non oltre un certo limite, a ritroso verso l'animalità ancestrale ciò si dovrà incontestabilmente alla Rivoluzione russa. La rivoluzione russa che ha risollevato i valori morali e ideali della umanità, che verso una umanità più alta ha spinto tutte le nostre speranze e insieme lo spirito collettivo di tutti i popoli.
Mentre in quella triste alba del 1917 tutto il mondo sembrava precipitare nell'orrore, nella morte, nella menzogna, nell'odio, nel buio più nero, ecco che la Rivoluzione russa ci ha inondati ad un tratto, nel mondo intero, quanto soffrivamo per la tragedia interminabile, di una luce abbagliante di verità e di fraternità, ed il calore della vita e dell'amore ha ripreso a circolare per le vene esauste, nel cuore inaridito dell'internazionale lavoratrice. Finché la memoria del fatto memorando rimarrà, tutti i popoli della terra saranno riconoscenti al popolo russo di uno sforzo, che non solo in Russia ed Europa, ma nei più lontani angoli del mondo abitato da nomini ha risollevato le speranze degli oppressi.
Non ci dissimuliamo affatto quanto di fatica, d'eroismo, di sacrificio e di martirio lo sforzo del popolo russo abbia costato.
Noi anarchici non abbiamo seguito i passi della rivoluzione con restrizioni mentali, con spirito settario. Non abbiamo mai né in pubblico né nel nostro intimo detto: fin là, ma non oltre. Finché la rivoluzione è andata avanti, non ci siamo preoccupati di quale fosse il partito che ne ricavasse più rinomanza. Nessuno parlava degli anarchici russi, o quasi, allora. Noi sapevamo che questi -e poi le notizie confermarono coi fatti la nostra persuasione- dovevano essere in prima linea nella battaglia, fattori ignorati ma importanti della rivoluzione. E ciò ci bastava.
Non abbiamo interessi di partito, né i sacrifici dei nostri han bisogno d'essere messi a frutto, per guadagnare i privilegi del domani; e quindi quel silenzio sull'opera dei compagni nostri non turbava la nostra gioia. E quando i bolscevichi dal marzo al novembre, prima di andare al potere (ed anche per qualche mese dopo, finché l'amara esperienza non confermò le previsioni suggeriteci dalla dottrina) apparvero come i più energici nemici dei vecchi oppressori, della politica di guerra, d'ogni transazione con la borghesia; e combattevano il radicalismo democratico abbarbicato al capitalismo, e con questo i social-patriotti, i riformisti, i socialisti rivoluzionari di destra, i menscevichì; e cooperavano dopo un po' d'esitazione a buttare all'aria l'equivoco della Costituente, gli anarchici senza stupide invidiose rivalità erano al loro fianco.
Al loro fianco erano idealmente, spiritualmente, fuori della Russia, e più praticamente sul terreno della propaganda e della politica contro la calunnia e la diffamazione borghese. Più praticamente ancora lo furono (e ciò anche quando era annunciata l'opposizione sul terreno polemico) contro i governi borghesi, quando si trattò di impedire sul terreno dell'azione diretta nei limiti del possibile il blocco infame contro la Russia e gli approvvigionamenti di guerra ai suoi nemici. Ogni volta che l'interesse della rivoluzione e del popolo russo appariva in giuoco, gli anarchici non si sono tirati indietro, anche se capivano che ciò poteva avvantaggiare indirettamente degli avversari.
La stessa cosa, su più vaste proporzioni, con maggiore dispendio di energie ed in più i sacrifici della lotta armata e cruenta, è avvenuto in Russia, dove i nostri compagni si sono battuti per la rivoluzione contro lo zarismo prima del 1917 con l'opposizione tenace alla guerra, e dopo con le armi in pugno in marzo; poi contro la democrazia borghese e social-riforrnista in luglio e in ottobre; battendosi in fine su tutti i campi, lasciandovi i loro morti, contro Judenicht, contro Denichin, contro Wrangel, contro i tedeschi a Riga, contro gli inglesi ad Arcangelo, contro i francesi a Odessa, contro i giapponesi in Siberia. Molti di loro (e non è il caso di vedere qui se e fino a che punto hanno avuto torto) hanno collaborato coi bolscevichi nell'organizzazione interna, civile e o militare, in ciò che ad essi sembrava meno in contrasto con la propria coscienza e a vantaggio della rivoluzione. E se oggi gli anarchici russi sono all'opposizione in Russia e combattono la politica ed il governo bolscevico, non fanno che proseguire -minoranza eroica- la lotta per la rivoluzione incominciata in marzo 1917.
Il governo russo attuale non solo non è la Rivoluzione Russa, ma n'è divenuto la negazione. Ciò era del resta inevitabile pei fatto d'essere esso un governo. Combattere, sul terreno polemico e o con argomenti rivoluzionari, che non hanno nulla a che fare con gli argomenti dei nemici della rivoluzione, il governo russo, non solo dunque non significa avversare la rivoluzione, ma difenderla, ma metterla in miglior luce, ma liberarla dalle macchie che il grosso del pubblico vi vede, che sono macchie non sue tua del partito di governo, della sua nuova casta dominante che parassitariamente sì va formando sul suo tronco a danno della grande maggioranza del proletariato.
Tutto ciò non ci impedisce affatto di comprendere la grandiosità del rivolgimento russo, di rendersi conto del rinnovamento che da esso è venuto per una buona metà della nostra Europa. Solo ci opponiamo alla pretesa di un solo partito di monopolizzare il merito e i frutti d'un fatto così enorme, avvenuto ceno anche con la sua partecipazione, tua nelle proporzioni ragionevolmente attribuibili al numero ed all'organizzazione sua. La Rivoluzione russa non è d'un partito, ma di tutto un popolo; ed è questo l'attore vero e principale della vera Rivoluzione russa. La grandezza della quale non consiste negli ordinamenti di governo, nelle leggi e nei fatti militari, ma nel cambiamento profondo effettuatosi nella vita materiale e morale della popolazione.
Questo cambiamento è innegabile. Lo zarismo è morto in Russia, e con esso è morta tutta una sede di mostruosità senza fine. La vecchia classe dominante, nobiliare e borghese è distrutta, e con esosa sono state distrutte dalle fondamenta tante cose, e soprattutto tanti pregiudizi che si credevano incrollabili. Se la Russia avrà la disgrazia, come pare, di veder formarsi in lei una nuova classe dirigente, l'abbattimento delle antiche così radicate fa sperare che il dominio della nuova potrà non difficilmente essere abbattuto a sua volta. L'idea inizialmente libertaria dei "Sovieti", benché guastata dai bolscevichi e resa una ruota burocratica della dittatura, non invano conquistò l'anima russa; in essa è in germe la nuova rivoluzione, che sola può attuare il vero comunismo, il comunismo con la libertà.
Il rinnovamento morale della Russia, dovuto alla rivoluzione, nessun governo potrà né appropriarselo né distruggerlo; ed è merito esclusivo della rivoluzione popolare, non di un partito politico. "E però, malgrado tutto (mi scriveva un compagno tornato dalla Russia tempo fa, dopo le critiche allo governo bolscevico)l'impressione che fa l'insieme della vita del popolo russo è così grande che tutto qui, nell'Europa capitalista, sembra in paragone meschino e stupido, "piccolo borghese". Niente di volgare colà; non si sentono mai di queste canzoni volgari cantate da gente ubriaca; l'atmosfera così ripugnante, delle domeniche e dei luoghi dove anche il popolo si diverte nei paesi occidentali, colà non esiste. Il popolo vive realmente, tra sacrifici e patimenti indicibili, una vita morale più intensa e migliore".
La Rivoluzione russa continua dunque a vivere, realtà, in seno al popolo russo. È la rivoluzione che noi amiamo, alla quale inneggiamo con entusiasmo, con cuore pieno di speranze.Ma la rivoluzione e il popolo russo, lo ripetiamo senza stancarci, non sono il governo che li rappresenta all'estero, dinanzi alla gente superficiale. Un amico, tornato nel 1920 entusiasta dalla Russia, alle mie rimostranze perché i sovieti fossero colà una specie di subordinazione umiliante, e la loro medesima elezione fosse manipolata "fascisticamente" dagli agenti del governo, imprudentemente mi rispose:
"Ma se la maggioranza dei proletari potesse eleggersi sul serio i sovieti che preferirebbe, il governo bolscevico non resterebbe al potere una settimana di più"!
Se questa è la verità, quando noi critichiamo non le persone, non i singoli, dei quali più volte abbiamo anzi preso le difese contro i loro calunniatori della stampa venduta al capitalismo,quando noi, guidati dalla preoccupazione costante di non cadere con questa critica in errori ed esagerazioni, attacchiamo il partito dominante in Russia e i suoi partigiani desiderosi di imitarlo in italia, perché vediamo i suoi metodi essere nefasti alla rivoluzione, e tradursi in vera e propria controrivoluzione, come si può dire che "ci mettiamo contro la Rivoluzione russa?
Il proletariato che ci conosce e ci ascolta sa che si tratta d'una affermazione cattiva e ridicola, come sono cattivi e ridicoli i pennivendoli della borghesia, quando vogliono far passare come offese ed accuse a tutto il popolo italiano le critiche giustamente aspre, con cui concordiamo anche noi, che i rivoluzionari stranieri rivolgono al governo ed alla classe dominante d'Italia.

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Fine