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L. Fabbri. "Anarchie e Comunismo Scientifico". 1° parte

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LUIGI FABBRI
"ANARCHIA E COMUNISMO SCIENTIFICO".

La fraseologia borghese del comunismo "scientifico"
Per cura della casa editrice del Partito Comunista d'Italia si è pubblicato testé un opuscoletto di dodici pagine dell'eccellente teorico -come lo presentò la prima volta al pubblico la stampa socialista e comunista- Nicola Bucharin, dal titolo pomposo " Anarchia e Comunismo Scientifico "Vediamo dunque quanta" scienza" v'è dentro.
Il Bucharin non riferisce alcuna idea genuina sull'anarchismo nessuno dei postulati del programma comunista anarchico, quali veramente sono; né si dà la pena di informarsi sulle Idee anarchiche, attingendo alla fonte diretta della loro letteratura storica e teorica. Egli non fa che ripetere degli abusati luoghi comuni, parlando a vanvera così per sentito dire, e giocando di fantasia, sulle questioni dell'anarchismo che meno conosce. Una simile incomprensione della teoria e della tattica dell'anarchia non è possibile trovarla che negli scrittori più superficiali e in malafede della borghesia di trenta o quarant'anni fa.
Si tratta, in sostanza, di uno scritto assai banale e di poca importanza.
Ma esso è stato diffuso in Italia sotto l'egida di un partito composto in massima parte di proletari, ed agli operai viene presentato come una confutazione dell'anarchismo. Gli editori italiani presentano l'opuscolo del Bucharin come un lavoro di mirabile chiarezza, che scolpisce in modo lapidario l'inconsistenza e l'assurdità della dottrina anarchica. Valeva perciò la pena di mostrare come nulla v'è di più assurdo, inconsistente e ridicolo dì questa "scienza" del non saper nulla con cui si tenta screditare l'idea dell'anarchia. Del resto l'opuscolo del Bucharin è stato per noi una occasione dì più per far propaganda delle nostre idee tra i lavoratori, ai quali in modo speciale ci rivolgiamo e dei quali soprattutto ci curiamo; e non certo un tentativo di convincere personalmente l'autore o gli editori dell'opuscolo, con cui perderemmo il ranno ed il sapone.
A caratterizzare il vuoto e l'ignoranza, che predomina tra questa gente che da sé stessa si battezza per scientifica - son sempre i più ignoranti che han bisogno di sloggiare titoli accademici legittimi o no - basta la fraseologia di cui ama far pompa.
Questa fraseologia assomiglia alle chincaglierie che si mettono addosso i pidocchi rifatti e alle pose che assumono, passando altezzosi tra la gente, come a dite: "Fatevi da parte, ché passiamo noi; e guai a chi osa non far di cappello alla nostra sublimità!". E quando parlano, guardando dall'alto in basso nella loro incommensurabile pretensione.
Non si creda che il Bucharin parli dell'anarchismo e degli anarchici russi soltanto. Egli nell'opuscolo non fa distinzione alcuna e parla del tutto in generale. Del resto gli anarchici russi non sono diversi nelle idee e nei programmi da ciò che sono gli anarchici degli altri paesi.

Tutti i miseri mortali, non s'accorgono neppure di dire non solo delle asinità ma delle vere e proprie ingiurie da maleducati e da villani a coloro cui si rivolgono.

 

Sentite, per esempio, come e con quale prosopopea il Bucharin si rivolge agli anarchici, rinfacciando loro la degnazione d'averne discusse le teorie che.. non conosce: "Espressamente non abbiamo polemizzato con gli anarchici, come se fossero delinquenti, criminali, banditi, ecc”. É la dialettica dei gesuiti, che insegna a lanciare l'ingiuria fingendo di non volerla dire... Ma ciò, per concludere più appresso che dai gruppi anarchici escono gli espropriatori per le proprie tasche, o ladri che dir si voglia, e clic intorno agli anarchici si raccoglie la delinquenza.
Quale impudenza! Nel loro odio per i ribelli, per tutti coloro che per amore di libertà non vogliono piegarsi al loro volere e non vogliono subire le loro imposizioni. nel movimento operaio oggi e nella rivoluzione domani, costoro non hanno ritegno d'abbassarsi a raccogliere, per lanciarlo contro gli anarchici, il peggior fango della calunnia e della diffamazione delle questure e del giornalismo borghese. Par di leggere i libelli polizieschi dei Sernicoli di crispina memoria! E si manda in giro questa roba, questi luoghi comuni dell'ingiuria plateale sotto il nome di "scienza"!
Come discutere su cose simili? Il partito anarchico non pretende certo d'esser costituito di gente superiore agli altri; i suoi uomini hanno naturalmente i difetti comuni ai mortali tutti, e per ciò, come ogni partito, anche il partito anarchico ha le sue deficienze, le sue scorie; e possono sempre esservi degli individui che cercano coprire con la sua bandiera le proprie tendenze morbose ed antisociali. Ma non certo in proporzione maggiore che negli altri partiti; al contrario! Anzi le peggiori forme di delinquenza, frutto dell'egoismo e dell'ambizione, dello spirito d'interesse e di lucro, sono tenute lontane dall'anarchismo, per il fatto che nel suo ambito v'è poco o nulla da guadagnare. Credano, gli "scientifici" del comunismo, che noi potremmo agevolmente ritorcere contro loro questo genere d'attacchi, se non credessimo di avvilirci facendolo e se non fossimo persuasi che ciò non servirebbe a nulla!" Coloro che come dice Bucharin sfruttano la Rivoluzione per interesse personale" non è tra gli anarchici che possono più facilmente essere rintracciati: sia in Russia che fuori della Russia...
L'anarchia, presentataci dal Bucharin, sarebbe "un prodotto del disfacimento della società capitalistica", una specie di infezione, che si diffonde prevalentemente tra la fondiglia sociale, tra individui atomizzati, fuori d'ogni classe, che esistono solo per se stessi, che non lavorano, incapaci organicamente di creare un nuovo mondo e valori nuovi: proletari, piccoli borghesi, intellettuali decaduti, contadini impoveriti, ecc. Quella che Bucharin prende per "anarchia" sarebbe non una ideologia del proletariato, ma un prodotto della dissoluzione ideologica della classe operaia, l'ideologia di una plebe di pezzenti. Altrove la chiama il "Socialismo della Plebe", del proletariato ozioso e vagabondo. In altro punto del suo opuscoletto antiànarchico il Bucharin la nomina "plebe stracciona".(Vedi L'ABC del Comunismo, di Bacharin e Preobraseewsky. Edit, Avanti!, Milano, pag. 85)
Non credano i lettori ad una esagerazione. Quanto sopra ho riportato sono espressioni citate letteralmente, soltanto abbreviate o condensate per ragione di spazio: a sufficienza però, per dare un'idea in che cosa Bucharin veda niente meno che il fondamento sociale dell'anarchia.
I lavoratori che ci leggono, anche i più lontani da noi, per quanto poco sappiano d'anarchismo, ne sanno già abbastanza per far giustizia da sé di queste stravaganti scempiaggini. Degli anarchici non ve ne sono soltanto in Russia, per cui agli operai italiani si possano dare ad intendere lucciole per lanterne, come si raccontano ai bimbi le fiabe degli orchi e degli stregoni. I proletari d'Italia, in mezzo a cui gli anarchici sono abbastanza numerosi dovunque, possono essi stessi rispondere per noi che in tutto quanto Bucharin fantastica non c'è niente di vero.
L'anarchismo, pur non avendo la pretesa d'essere la "dottrina del proletariato"  se mai, essa preferisce essere una dottrina umana  è di fatto una dottrina seguita quasi esclusivamente da proletari: i borghesi e piccoli borghesi, i cosiddetti intellettuali, professionisti, ecc., vi sono rarissimi e non vi esercitano alcuna influenza predominante. Ve ne sono infinitamente di più ed hanno maggiore predominio in tutti gli altri partiti, che pur diconsi proletari, compreso quello "comunista". E, in linea generale, i proletari anarchici non costituiscono affatto una categoria speciale migliore o peggiore: lavorano come gli altri operai, appartengono a tutti i mestieri, ve ne sono nella grande e nella piccola industria, negli stabilimenti, nell'artigianato, nei campi; appartengono alle stesse organizzazioni di mestiere che gli altri, ecc., ecc.
Vi sono, naturalmente, degli anarchici anche fra le categorie più disgraziate del proletariato,- fra quelle che altezzosamente Bucharin sintetizza nella plebe stracciona ma non è affatto un fenomeno esclusivo dell'anarchia. Se così fosse, se davvero tutti i pezzenti, tutti gli straccioni, tutta la plebe che più soffre dell'oppressione capitalistica venisse a noi, non ci dispiacerebbe affatto; noi l'accoglieremmo a braccia aperte senza disdegni ingiusti e senza preferenze fuori posto. Ma sta di fatto a smentire la fantastica catalogazione del Bucharin- che l'anarchia ha in mezzo a queste categorie i suoi seguaci nella stessa proporzione che tra le altre, come ve l'hanno tutti gli altri partiti, non escluso il partito comunista. Che resta, con ciò, di tutta la fraseologia pseudoscentifica del Bucharin contro l'anarchismo?
Nulla, se non la rivelazione per così dire incosciente di uno stato d'animo, che dovrebbe far stare in guardia il proletariato, farlo seriamente impensierire sul pericolo che correrà, se per sua disgrazia affiderà a questi dottrinari del comunismo dittatoriale le proprie sorti. Chi parla con tanto disprezzo della "plebe stracciona", della "plebe di pezzenti", della "fondigli", ecc.? Sono precisamente i piccoli borghesi, vecchi o recenti, venuti dalla borghesia o dal proletariato, che oggi dominano nelle organizzazioni, nei partiti, nel giornalismo operaio, capi di ogni specie, che costituiscono la classe dirigente di domani, minoranza anche essa, che eserciterà sott'altra forma lo sfruttamento e l'oppressione delle grandi masse, circondandosi tutt'al più delle categorie più fortunate del proletariato cittadino, -quelle della grande industria con esclusione e a danno di tutte le altre.
Bucharin imprudentemente lo confessa nel suo opuscolo, quando fa del comunismo e della rivoluzione una specie di monopolio della sola pane di proletariato saldata insieme dal meccanismo della grande produzione". Tutti gli altri strati delle classi povere prosegue egli possono diventare agenti della rivoluzione solo in quanto si mettono al seguito del proletariato”.
Allora le "classi povere" che non sono della grande industria, non sarebbero proletariato? Si avvererebbe così la profezia di Bakounine, secondo cui la piccola minoranza degli operai industriali può divenire la sfruttatrice e dominatrice delle grandi masse povere. Anche se ciò non viene esplicitamente enunciato, lo si intuisce dal linguaggio che questi futuri dominatori anzi in Russia son già i dominatori odierni adoprano verso le disgraziate classi povere, cui assegnano la passiva missione di metatarsi al seguito della minoranza che vuol salire al potere. Questo linguaggio sprezzante ed altero rivela -ripeto- uno stato d'animo: lo stato d'animo tutto proprio dei padroni, dei dominatori, nei riguardi dei servi e dei sudditi. É lo stesso linguaggio che si adopera tra noi dai parvenus della borghesia e specialmente dalla piccola borghesia, contro il proletariato in blocco "pezzente, straccione, fondiglia, incapace di creare, che non lavora", ecc.
Leggano i lavoratori italiani l'opuscolo del Bucharin: noi per far valere le nostre ragioni non abbiamo bisogno di fare la congiura del silenzio intorno a quel che scrivono e dicono i nostri avversari, né di contorcere o falsare le loro idee. Abbiamo anzi tutto l'interesse che i proletari confrontino le idee nostre con le idee contrarie. Ma se leggeranno le brevi pagine del Bucharin non sappiamo quale impressione proveranno, al ritrovarvi contro gli anarchici la medesima oltraggiosa fraseologia borghese con cui in Italia vengono oggi vituperati gli operai ed i rivoluzionari tutti, compresi gli stessi comunisti!
Con tutto ciò è proprio il Bucharin che ha il coraggio di dire che gli anarchici si uniscono ai borghesi ed ai partiti collaborazionisti contro il potere del proletariato!
Naturalmente Bucharin si guarda bene dal portare argomenti e fatti, per provare tale affermazione, pura e semplice diffamazione! I fatti, tutta la storia dell'anarchismo da cinquant'anni, l'eroismo di tanti anarchici russi morti dal 1917 in poi con l'arma in pugno per difendere la rivoluzione del loro paese, tutto sta a provare luminosamente il contrario.
Gli anarchici combattono contro ogni potere, contro ogni dittatura, anche se si copre del manato proletario. Ma per ciò non hanno bisogno di unirsi ai borghesi né di fare del collaborazionismo, ne in Russia né altrove.Gli anarchici possono menar vanto di costituire dovunque l'unico partito che a costo di restare quasi sempre solo è stato sempre, da che è sorto, irriducibile ed intransigente contro ogni forma di collaborazionismo statale o di classe, non disarmando mai nella sua posizione di nemico di fronte alla borghesia. Ma noi non abbiamo presa la penna solo per discutere o ribattere delle vuote frasi diffamatorie ed oltraggiose. Nell'opuscolo del Bucharin si tenti di discutere anche alcune idee dell'anarchismo od all'anarchismo attribuite; ed a questo lato, per quanto misero, dedicheremo la maggior parte del nostro breve lavoro di polemica e di propaganda, -curandoci meno del Bucharin e più degli argomenti qua e là da lui accennati, mantenendo per quanto è possibile la discussione in un campo impersonale e senza più curarci della fraseologia irritante ed antirivoluzionaria in cui il nostro avversario affoga le poche ragioni che adduce.

 

Lo Stato e l'accentramento della produzione.
Gli scrittori comunisti -fra cui specialmente il Bucharin- sono soliti da qualche tempo attribuire agli anarchici un errore, che invece gli anarchici hanno sempre confutato ed è stato fino a ieri un errore esclusivamente dei social-democratici della Seconda Internazionale: quello di far consistere tutto il contrasto tra marxismo ed anarchismo nello scopo finale dell'abolizione o meno dello Stato nella futura società socialista. I socialisti democratici, che allora si dicevano "scientifici" come ora i comunisti, affermavano un tempo la necessità dello Stato in regime socialista, e pretendevano con ciò d'essere marxisti. Fino a poco fa sono stati soltanto o quasi gli scrittori anarchici a rivelare questa falsificazione del marxismo, di cui ora invece si vorrebbe farli corresponsabili. Al Congresso operaio e socialista internazionale di Londra del 1896 nel quale fu deliberata l'esclusione degli anarchici (i soli che allora si dicessero comunisti) dai congressi internazionali perché non accettavano la conquista del potere come mezzo e come fine fu proprio Errico Malatesta a rammentare che originariamente lo scopo finale degli anarchici e socialisti era unico, per l'abolizione dello Stato, e che su ciò i marxisti avevano abbandonato le teorie di Marx.
Negli scritti di anarchici, è stata una infinità di volte ripetuta la nota interpretazione anarchica del socialismo, che Carlo Marx dava nel 1872, nel corso d'una delle sue più violente polemiche con Bakounine: "Tutti i socialisti per anarchia intendono questo: conseguito che sia lo scopo del movimento proletario, cioè l'abolizione delle classi, il potere dello Stato che serve a mantenere la grande maggioranza produttrice sotto il giogo d'una minoranza sfruttatrice poco numerosa sparisce e le funzioni governative si trasformano in semplici funzioni amministrative".
Noi non accettiamo questa concezione marxista dell'anarchia, perché non crediamo alla morte naturale o fatale dello Stato, come conseguenza automatica dell'abolizione delle classi. Lo Stato non è soltanto un prodotto della divisione di classe; ma è esso stesso a sua volta un generatore di privilegi, e produce così nuove divisioni di classi. Marx era in errore nel ritenere che, abolite le classi, lo Stato dovesse morire di morte naturale, come per mancanza d'alimenti. Lo Stato non cesserà d'esistere se non lo si distruggerà di deliberato proposito, allo stesso modo che non cesserà d'esistere il Capitalismo, se non lo si ucciderà espropriandolo. Lasciando in piedi uno Stato, esso genererà intorno a sé una nuova classe dirigente, se pure non avrà preferito rappacificarsi con l'antica. In sostanza finché lo Stato esisterà le divisioni di classe non cesseranno e le classi non saranno mai definitivamente abolite. Ma qui non è il caso di vedere quanto vi sia d'illogico nell'idea che Marx si faceva della fine dello Stato. Sta di fatto che il marxismo concorda con l'anarchismo nel preconizzare la morte dello Stato col comunismo; -solo, secondo il marxismo lo Stato deve morire di morte naturale, mentre secondo l'anarchismo non potrà morire se non di morte violenta.
E questo, ripetiamo, gli anarchici nelle loro polemiche coi socialdemocratici hanno rilevato dal 1880 ad oggi una infinità di volte.
I comunisti autoritari, mentre criticano a ragione il concetto social-democratico (attribuendolo però erroneamente anche agli anarchici) che la differenza sostanziale fra socialismo e anarchismo sia sul fine ultimo dell'eliminazione dello Stato, cadono a loro volta in un errore simile e forse più grave. Essi, e per essi il Bucharin, sostengono che la "vera differenza" tra gli anarchici e comunisti di Stato consista in questo: che "mentre l'ideale dei comunisti è la produzione accentrata e metodicamente organizzata in  grandi aziende, l'ideale degli anarchici è costituito da piccole comuni, le quali per la loro struttura non possono gestire alcuna grande azienda, ma stringono tra loro accordi mediante una rete di libere contrattazioni".
Sarebbe interessante sapere in quale libro, opuscolo o programma anarchico si trova formulato un simile "ideale", anzi un consimile pasticcio!
Bisognerebbe sapere per quali difetti di struttura, ad esempio, un piccolo Comune non potrebbe gestire una grande azienda, e perché mai questa dovrebbe essere impedita dal fatto delle libere contrattazioni o scambi, ecc. Così, quando i comunisti statali immaginano che gli anarchici sono per una piccola produzione decentrata. Piccola, perché?
Probabilmente si crede che il decentramento delle funzioni significhi sempre e ad ogni costo lo spezzettamento della produzione, e che la produzione in grande, l'esistenza di vaste associazioni di produttori, sia impossibile senza l'accentramento della loro gestione in un ufficio unico centrale, secondo un unico piano direttivo. Queste ed altre affermazioni, che riproducono virgolate o in corsivo, sono parole testuali del Bucharin, nel suo opuscolo. Egli del resto ripeto le stesse cose nello scritto già citato L'ABC del Comunismo ed in un altro Il programma dei Comunisti, edito dall'Avanti! Nel 1920.
Questo sì ch'è infantilismo! I comunisti marxisti, specialmente i russi, sono ipnotizzati a distanza dal miraggio della grande industria d'Occidente e d'America, e scambiano per organismo di produzione ciò che esclusivamente un mezzo di speculazione tipicamente capitalistica, un mezzo per esercitare lo sfruttamento con più sicurezza; e non s'accorgono che questa specie d'accentramento, lungi dal giovare alle vere necessità della produzione, è invece proprio ciò che la limita, la ostacola e la frena a seconda dell'interesse capitalistico.
Quando i comunisti dittatoriali parlano di "necessità della produzione" non distinguono le necessità da cui dipende l'ottenere una maggiore quantità e una migliore qualità di prodotti unica cosa che interessa dal punto di vista sociale e comunista dalle necessità inerenti al regime borghese, necessità dei capitalisti di guadagnare di più anche se con ciò si debba produrre di meno. Se il capitalismo tende all'accentramento delle proprie gestioni, ciò non è affatto nell'interesse della produzione ma esclusivamente nell'interesse di guadagnare e accumulare più danaro il che non di rado consiglia ai capitalisti di lasciare incolte enormi distese di terre, di arrestare certe produzioni, e perfino di distruggere dei prodotti già ultimati! Malgrado tutte queste considerazioni, la vera questione del contrasto tra comunisti autoritari e comunisti anarchici non è qui. Gli anarchici non hanno, sul modo migliore di gestire materialmente e tecnicamente la produzione, alcun preconcetto né apriorismo assoluto, e si rimettono a ciò che l'esperienza, in seno ad una società libera consiglierà ed a ciò che le circostanze imporranno. L'importante è che, qualunque sia il tipo di produzione adottato, lo sia per libera volontà dei produttori medesimi, e non sia possibile la sua imposizione, né alcuna forma di sfruttamento del lavoro altrui. Date queste premesse fondamentali la questione del modo d'organizzare la produzione diventa secondaria. Né gli anarchici escludono a priori alcuna soluzione pratica; e ammettono vi possano essere anche varie soluzioni diverse e contemporanee, in seguito all'esperimentazione delle quali i lavoratori potranno trovare con cognizione di causa la via migliore per produrre sempre meglio e di più.
Gli anarchici si oppongono energicamente allo spirito autoritario ed accentratore dei partiti di governo e di tutte le concezioni politiche statali, per loro natura centralista. Quindi essi concepiscono la vita sociale futura su basi federaliste, dall'individuo alla corporazione, al comune, alla regione, alla nazione, all'internazionale, sulla base della solidarietà e del libero accordo. Ed è naturale che quest'ideale si rifletta anche sull'organizzazione della produzione, facendo preferire un tipo, per quanto è possibile, d'organizzazione decentrata; ma non però come regola assoluta da imporsi in tutti i luoghi e in tutti i casi. Lo stesso ordinamento libertario, del resto, renderebbe impossibile l'imposizione d'una soluzione così unilaterale.
Gli anarchici respingono certamente l'utopistica idea dei marxisti d'una produzione organizzata aprioristicamente ed unilateralmente a tipo accentrato, regolata da un ufficio centrale onniveggente ed infallibile. Ma se non accettano l'assurda soluzione marxista, non per questo cadono nell'eccesso opposto, nell'apriorismo unilaterale delle "piccole comuni che fanno solo una piccola produzione" attribuitoci dagli scrittori del comunismo "scientifico". Del tutto al contrario fin dal 1890 Kropotkine prendeva come punto di partenza "lo stato attuale delle industrie, dove tutto si intreccia e si sorregge reciprocamente, dove ogni ramo della produzione si serve di tutti gli altri"; e portava come esempi di possibili organizzazioni comuniste anarchiche, con le dovute modifiche, alcuni dei più vasti organismi nazionali ed internazionali della produzione e distribuzione, dei servizi pubblici e della coltura. Gli autoritari del comunismo, settari e dogmatici per conto proprio, non possono capire che altri siano diversi da loro; perciò ci attribuiscono i loro stessi difetti.
Noi crediamo in linea generale, anche sul terreno economico -benché la nostra ostilità si rivolga prevalentemente alle sue manifestazioni politiche- che l'accentramento sia l'indirizzo meno utile, meno consono alle necessità pratiche della vita sociale. Ma questo non c'impedisce affatto di riconoscere che vi possono essere determinati rami della produzione, certi servizi pubblici, alcuni uffici amministrativi, di scambio, ecc., in cui anche l'accentramento di funzioni sia necessario. Nel qual caso nessuno vi si opporrà. L'importante è per gli anarchici che non vi sia accentramento di potere; vale a dire che sotto il pretesto d'una necessità pratica, non si giunga a imporre per forza a tutti un metodo voluto da pochi. Il qual pericolo sarà eliminato, se fin da principio si abolì ogni autorità governativa, ogni organismo poliziesco che possa imporsi con la forza e col monopolio della violenza armata.
All'errore dei neomarxisti dell'accentramento forzato ed assoluto, noi non opponiamo affatto il discernimento per forza ed in tutte le cose, che sarebbe un errore identico in senso opposto. Noi preferiamo un indirizzo decentratore; ma in ultima istanza, trattandosi di un problema pratico e tecnico, ce ne rimettiamo alla libera esperienza, sulla guida della quale si deciderà a seconda dei casi e delle circostanze nell'interesse comune, per l'aumento della produzione ed in modo che, né da un sistema né da un altro, possa mai risultare dominazione o sfruttamento alcuno dell'uomo sull'uomo. Non bisogna confondere l'accentramento politico della forza statale nelle mani di pochi, con l'accentramento della produzione.Tanto vero che oggi la produzione non è affatto accentrata nel governo, anzi è indipendente da questo e discenrata tra i vari proprietari, industriali, imprese, aziende anonime, compagnie internazionali, ecc.
L'essenza dello Stato, secondo gli anarchici, non consiste dunque (come immaginano i comunisti autoritari) nell'accentramento meccanico della produzione che è una questione diversa, di cui abbiam già parlato sopra- bensì nell'accentramento del potere, vale a dire soprattutto nell'autorità coercitiva di cui lo Stato ha il monopolio, nella organizzazione della violenza chiamata "governo"; nel dispotismo gerarchico, giuridico, poliziesco e militare che impone a tutti le sue leggi, difende i privilegi della classe proprietaria e ne crea dei propri. Ma si capisce che se all'accentramento nel governo, più o meno dittatoriale che sia, di tutti i poteri militari e politici, si aggiungesse l'accentramento economico della produzione, vale a dire lo Stato fosse nel tempo stesso carabiniere e padrone, e l'officina fosse anche una caserma, allora l'oppressione statale diverrebbe intollerabile e le ragioni di osteggiarla da parte degli anarchici sarebbero moltiplicate. Purtroppo, è questo lo sbocco evidente della via per cui si sono messi i comunisti autoritari. Né essi stessi lo negano.
Infatti, che cosa vogliono fare in pratica i comunisti? Che cosa hanno cominciato a fare in Russia? La dittatura statale e militare più accentrata, oppressiva e violenta. E con ciò, allo Stato dittatoriale affidano o intendono affidare insieme la gestione della ricchezza sociale e della produzione: il che esagera e rende ipertrofica l'autorità statale, anche a danno della produzione, ed ha per conseguenza la costituzione d'una nuova classe o casta privilegiata al posto dell'antica. Soprattutto a danno della produzione: non è male insistere su ciò; e l'esperienza russa ha dimostrato che non abbiamo torto, -poiché se oggi la Russia si dibatte nelle strette terribili della fame, ciò è certamente a causa dell'infame blocco del capitalismo occidentale e a causa della siccità eccezionale del clima; ma vi hanno contribuito per la loro buona pane gli effetti disorganizzatori dell'accentramento burocratico, politico e militaresco dittatoriale.
I comunisti autoritari dicono di voler giungere anche loro all'abolizione dello Stato: sapevamo questa loro opinione fin dai tempi di Marx ed Engels.
Ma l'opinione o l'intenzione non basta: bisogna agire in conseguenza fin dall'inizio. Invece i comunisti dittatoriali con l'indirizzo che danno al loro movimento e vogliono imprimere alla rivoluzione, si mettono precisamente per la via opposta a quella che conduce all'abolizione dello Stato e al comunismo.
Essi vanno direttamente verso lo "Stato forte e sovrano" di socialdemocratica memoria, e verso una più arbitraria dominazione di classe, sotto la quale il proletariato di domani sarà costretto a fare una nuova rivoluzione. I comunisti che vogliono il comunismo sul serio meditino su questo fatale errore che mina dalle basi tutto l'edificio dei partiti comunisti autoritari, invece di perder tempo a fantasticare sugli errori immaginari degli anarchici. I quali han tutto il diritto di rispondere alle critiche degli statolatri del comunismo: Medico, Cura te stesso!

La dittatura "provvisoria" e lo Stato.
La vera questione essenziale, la differenza che separa gli autoritari dai libertari del comunismo è quella dell'indirizzo da dare alla rivoluzione, statale secondo gli uni, anarchico secondo gli altri.
É bensì vero che tra il regime capitalistico ed il regime socialista intercorra un certo periodo di lotta, durante cui il proletariato dovrà lavorare a sradicare i resti della società borghese, e che a questa lotta gli operai rivoluzionari dovranno partecipare in prima linea servendosi della forza dell'organizzazione. Del resto rivoluzionari e proletariato in genere avranno bisogno dell'organizzazione non solo per le necessità della lotta ma anche per quelle della produzione e della vita sociale, che non può arrestarsi. Ma se la lotta e l'organizzazione hanno lo scopo di liberare il proletariato dallo sfruttamento e dal dominio statale, non se ne può affidare la guida, la formazione e la direzione precisamente ad un nuovo Stato, che avrebbe interesse a imprimere alla rivoluzione un indirizzo del tutto contrario. L'errore dei comunisti autoritari, a tal proposito, è di credere che non sia possibile lottare ed organizzarsi, senza sottomettersi ad un governo; e perciò essi vedono negli anarchici, ostili ad ogni forma di governo anche transitoria, i nemici di ogni organizzazione e di ogni lotta coordinata.
Noi sosteniamo, al contrario, non soltanto che l'organizzazione e la lotta rivoluzionaria sono possibili fuori e contro ogni ingerenza governativa, ma che anzi esse sono le vere ed uniche forme efficaci d'organizzazione e di lotta, perché vi partecipano attivamente tutti i membri della collettività invece d'affidarsene passivamente all'autorità dei capi supremi.
Ogni organismo governativo è un ostacolo alla reale organizzazione delle grandi masse, delle maggioranze. Quando esiste un governo, di veramente organizzata non v'è che la minoranza che lo compone; e se le masse nonostante si organizzano, ciò avviene contro di lui, fuori di lui, per lo meno indipendentemente da lui.Fossilizzandosi in un governo, la rivoluzione si disorganizzerebbe conte tale, poiché affiderebbe ad esso il monopolio dell'organizzazione e dei mezzi di lotta.
La conseguenza sarebbe che il nuovo governo, insediatosi sulla rivoluzione, getterebbe durante il periodo più o meno lungo del suo potere "provvisorio" le basi burocratiche, militari ed economiche d'una nuova organizzazione statale duratura, intorno a cui si creerebbe naturalmente una fitta rete d'interessi e di privilegi; ed in breve volgere di tempo s'avrebbe, non l'abolizione dello Stato, bensì uno Stato più forte e vitale dell'antico, il quale tornerebbe ad avere la funzione sua propria, che Marx gli riconosceva, di "mantenere la grande maggioranza produttrice sotto il giogo d'una minoranza sfruttatrice poco numerosa".
Ciò dimostra le storia di tutte le rivoluzioni, dalle più antiche alle più recenti; e ciò viene confermato, si può dire sotto i nostri occhi, dallo svolgessi giorno per giorno della rivoluzione russa. Sulla "provvisorietà" del governo dittatoriale non è il caso di soffermarci troppo. Provvisoria probabilmente sarà la forma più aspra e violenta di autoritarismo; ma appunto in questo periodo violento di compressione e di coazione si getteranno le basi del governo o Stato duraturo del domani. Inoltre, anche su questa "provvisorietà" della dittatura gli stessi comunisti danno assai poco affidamento. Il Radek ed il Bordiga ci parlavano tempo fa della durata d'una generazione, il che non era poco! Adesso nel suo opuscolo il Bucharin ci avverte che la dittatura dovrà durare finché gli operai non abbiano riportata completa vittoria, e che questa vittoria è possibile "solo quando il proletariato abbia liberato tutto il mondo dalla marmaglia capitalistica ed abbia soffocato dappertutto e completamente la borghesia"
Se questo fosse vero, significherebbe togliere al proletariato russo prima, e a quello d'ogni altra nazione poi, ogni speranza di liberazione, e rimandare questa alle calende greche, perché si comprende bene che, per quanto estesa e radicale possa essere una rivoluzione, prima ch'essa sia riuscita a vincere completamente e in tutto il mondo, non una ma molte generazioni dovranno passare. Per fortuna questo pessimismo antirivoluzionario è del tutto erroneo- un errore, del resto, di pura marca riformista, con cui nel 1919-1920 anche in Italia si cercava ostacolare ogni conato rivoluzionario, "destinato a fallire se la rivoluzione non avveniva in tutte le altre nazioni". In realtà la rivoluzione è possibile anche in zone relativamente limitate. La limitazione nello spazio porta bensì una limitazione alla sua intensità, ma la classe operaia vi avrà sempre acquistato un grado d'emancipazione e di libertà degno dello sforzo da lei fatto, se non avrà commesso l'errore di castrarsi da sé, vale a dire d'affidarsi nelle mani d'un governo, invece di contare soltanto su se stessa, sulle proprie forze, sulla propria organizzazione autonoma. Nell'ABC del Comunismo di Bucharin e Preobrascewsky si va più in là: Dovranno passare due o tre generazioni educate sotto le nuove condizioni, prima che possano eliminarsi le leggi, le punizioni, la repressione per opera dello Stelo proletario.
Il governo, e ancor più la dittatura, danneggia la rivoluzione non perché è violenta, ma perché la sua violenza è autoritaria, oppressiva, aggressiva, militarizzata, e non più liberatrice, e non soltanto volta a combattere una violenza opposta.
La violenza è rivoluzionaria, quando è adoperata a liberarsi dall'oppressione violenta di chi ci sfrutta e ci domina; appena essa si organizza a sua volta, sulle rovine del vecchio potere, in violenza di governo, in violenza dittatoriale, diventa controrivoluzionaria.
"Ma, ci si dice, occorre vedere contro chi la violenza governativa è adoperata". Essa comincia, certamente, con l'essere adoperata contro il vecchio potere, contro i rimasugli di questo che tentano la riscossa; contro i potenti stranieri che assaltano il territorio, sia per soffocarvi la rivoluzione, sia per profittare del momentaneo disordine per soddisfare le proprie mire imperialiste. Ma, man mano che il nuovo potere si consolida, gli antichi nemici passano in seconda linea; anzi quello diventa indulgente con questi, cerca contatti e rapporti con le potenze straniere, chiama i generali e gli industriali dell'antico regime a collaborare con sé; ed il pugno di ferro della dittatura si rivolta sempre di più e sempre più forte contro il proletariato stesso nel nome del quale fu costituito e viene esercitato!
Anche questo viene dimostrato coi fatti dall'attuale regime russo in cui la "dittatura proletaria" si manifesta in realtà (né potrebbe essere diversamente) come la dittatura poliziesca e militare, politica ed economica, dei pochi capi di un partito politico su tutta la grande massa proletaria delle città e dei campi.
La violenza di Stato finisce sempre con l'essere adoperata contro i sudditi, la gran maggioranza dei quali è sempre composta di proletari.
"Ma, ci si obietta, le distinzioni di classe non si cancellano dal mondo con un tratto di penna; la borghesia non scompare, come classe, dopo aver perduto il potere politico, ed il proletariato è sempre proletariato, anche dopo la sua vittoria, dopo assunto alla posizione di classe dominante"
Il proletariato è sempre proletariato?! O che se n'è fatto allora della rivoluzione? Ma è proprio qui il massimo dell'errore bolscevico, del nuovo giacobinismo rivoluzionario: nel concepire la rivoluzione, all'inizio, come semplice fatto politico, nel solo scacciare dal potere governativo i borghesi, per insediarvi i capi del partito comunista, mentre il proletariato resta proletariato, vale a dire nullatenente e costretto a continuare a vendere per salario, a ore o a giornata, le sue braccia per vivere!Se questo avviene,è il fallimento anticipato della rivoluzione
Ripeto che le obiezioni comuniste all'anarchismo, che riporto virgolate o in corsivo, sono sempre autentiche di N. Bucharin
Certo, le divisioni di classe non si cancellano con tratti di penna, né con i tratti di penna dei teorici, né con quelli degli scombicchieratori di leggi e decreti.
Le divisioni di classe si cancellano soltanto coi fatti, vale a dire con la espropriazione diretta (non governativa) da parte dei proletari della classe privilegiata. E questo è possibile subito, fin dall'inizio, appena l'antico potere è stato rovesciato; ed è possibile, finché un potere nuovo non s e ancora costituito. Se il proletariato tanto aspetta a procedere all'espropriazione, che un nuovo governo sorga e divenga forte, rischia di non riuscirci più e di restare ancora proletariato, vale a dire sfruttato ed oppresso. E più aspetta a praticare l'espropriazione, meno questa gli sarà facile; e se poi si fida del governo, perché sia questo a espropriare la borghesia, rimarrà becco e bastonato! LI nuovo governo potrà anche espropriare in tutto o in parte l'antica classe dominante, ma solo con la conseguenza di costituire una classe dominante nuova, a cui la generalità del proletariato rimarrà assoggettata.
Ciò avverrà, tanto se coloro che costituiscono il governo e la minoranza burocratica, militare e poliziesca che lo sostiene finiscono col diventare i proprietari reali della ricchezza, tanto se la proprietà di tutti viene attribuita esclusivamente allo Stato. Nel primo caso il fallimento della rivoluzione sarebbe evidente. Nel secondo caso, malgrado le illusioni che molti si fanno, le condizioni del proletariato resterebbero sempre quelle di una classe soggetta.
Il capitalismo non cesserebbe d'essere tale se da privato divenisse "capitalismo di Stato" Lo Stato in tal caso non avrebbe compiuta una espropriazione, bensì una appropriazione. A molti padroni sarebbe succeduto un padrone unico, il governo, il quale sarebbe anche più prepotente, appunto perché, oltre all'essere sterminatamente ricco, avrebbe dalla sua la forza armata con cui piegare al suo volere i proletari. E questi nelle fabbriche e nei campi sarebbero sempre dei salariati, vale a dire degli sfruttati e degli oppressi. Viceversa lo Stato, che non è cosa astratta ma organismo fatto di uomini, sarebbe l'insieme organizzato dei dominatori e padroni di domani, -cui non mancherà modo di cercare una sanzione pel loro dominio in una nuova legalità più o meno a base elettorale o parlamentare.
Ma l'espropriazione, si insiste, bisogna che sia fatta con un certo metodo, organizzata a pro di tutti; bisogna sapere i mezzi di produzione disponili, le case ed i terreni, ecc. L'espropriazione cioè non può essere fatta da singole persone o da gruppi privati, che la volgerebbero a proprio profitto egoistico, costituendo nuovi proprietari privilegiati. Ci vuole dunque un potere proletario che se ne occupi.
Tutto sarebbe giusto, senza la coda in cui.. c'è il veleno! Ma è ben curiosa questa gente, che vorrebbe arrivare.., in teoria all'abolizione dello Stato, ed in pratica non sa concepire la minima funzione della vita che non abbia carattere statale!
Neppure gli anarchici concepiscono l'espropriazione come una specie di "chi piglia, piglia", lasciato all'arbitrio personale e senza alcun ordine.
Pur essendo prevedibile all'inizio del disordine, inevitabile, ed altresì che nei centri più arretrati e in certe piaghe di campagne l'espropriazione possa in principio assumere carattere individuale, non è affatto nell'intenzione dei comunisti anarchici d'adottare un simile criterio. Sarà, di fronte a questi casi, interesse di tutti i rivoluzionari di non mettersi troppo in urto con certi strati della popolazione, che più facilmente potranno essere convinti in seguito con la propaganda e con l'esempio della superiorità dell'organizzazione comunista libertaria. Ciò che importa soprattutto è che nessuno, all'indomani della rivoluzione, abbia il potere o i mezzi economici di sfruttare il lavoro altrui. Ma noi anarchici pensiamo che fin da ora bisogna preparare le masse spiritualmente, con la propaganda Bucrani critica anche l'idea antidiluviana della spartizione, sia pure in pani uguali, della ricchezza. Non ha tono, naturalmente; ma ficcare ciò in una critica generale dell'anarchismo è un vero anacronismo.
Ciò che dice Bucharin in proposito lo si ritrova in Lutti gli opuscoletti e giornali di propaganda, che gli anarchici pubblicavano quarant'anni addietro. propaganda, e materialmente, con l'organizzazione anarchica e proletaria, a disimpegnare subito, durante la rivoluzione e dopo, tutte le funzioni della lotta e della vita sociale e collettiva; ed una delle prime sarà precisamente la funzione espropriatrice. Per sottrarre il compito dell'espropriazione all'arbitrio individuale o di gruppi privati, non c'è affatto bisogno di gendarmi, non c'è affatto bisogno di cadere dalla padella nella brace della tutela statale: non c'è bisogno del governo.
Il proletariato ha già, località per località, dovunque, ed in stretto rapporto le une con le altre, una quantità di istituzioni proprie, libere, indipendenti dallo Stato: leghe e sindacati, camere di lavoro e cooperative, federazioni, unioni è confederazioni, ecc. Altri organismi collettivi si formeranno, durante la rivoluzione, più in armonia coi bisogni del momento; ed altri ancora, sia pur d'origine borghese ma radicalmente modificati, potranno essere utilizzati, di cui oggi non ci curiamo: consorzi, enti autonomi, ecc. La Russia stessa ci ha dato, almeno nei primi momenti della rivoluzione quando il popolo fruiva ancora della sua libertà d'iniziativa - l'esempio della creazione di questi nuovi istituti socialistici e libertari nei suoi sovieti e nei suoi consigli di fabbrica.
Tutte queste forme d'organizzazione libera del proletariato e della rivoluzione sono state sempre accettate dagli anarchici, checché spropositino coloro che descrivono gli anarchici come contrari agli organismi di masse e li accusano di evitare per "ragioni di principio" di prender pane ad azioni di masse organizzate. Tutto il contrario è la verità. Gli anarchici non vedono alcuna incompatibilità tra l'azione vasta e collettiva delle grandi masse e quella più limitata dei loro liberi gruppi: anzi questa essi cercano d'inquadrare in quella, per ispirarle più che possono il proprio indi. rizzo rivoluzionario. Ché se più volte si trovano a discutere e criticare le organizzazioni proletarie guidate dai loro avversari, gli anarchici non combattono con ciò il fatto in sé dell'organizzazione, ma esclusivamente il loro indirizzo riformista, legalitario, autoritario e collaborazionista, ciò che del resto fanno anche i comunisti autoritari dovunque non sono essi i dirigenti dell'organizzazione proletaria.
Alcuni scrittori comunisti dittatoriali, rimettendo a nuovo la vecchia fandonia social-democratica che gli anarchici vogliano solo distruggere e non ricostruire, e che perciò siano avversi all'organizzazione delle masse, ne deducono che l'interessamento degli anarchici pei sovieti, in Russia, sia in contraddizione con le loro idee, un semplice modo di sfruttarli ed anche di disorganizzarli.
Se ciò non è calunnia pura e semplice, è però una prova dell'incapacità di codesti maniaci d'autoritarismo di capire qualunque cosa che non sia la prepotenza statale. Il regime sovietista, per gli autoritari del comunismo, non consiste nel fatto che i sovieti liberi e padroni di sé gestiscano direttamente la produzione, i servizi pubblici, ecc. bensì esclusivamente nel governo che, dicendosi sovietista, si è in realtà sovrapposto ai sovieti, ne ha annullata ogni libertà d'azione, ogni spontaneità nella loro formazione, riducendoli a meccanici e passivi ingranaggi, ubbidienti al governo dittatoriale centrale. Il quale, quando vi sia qualche soviet che mostra delle velleità d'indipendenza, lo scioglie senz'altro e ne fabbrica artificialmente un altro di suo gradimento.
Tutto ciò viene chiamato "dare base più larga al potere delle organizzazioni proletarie"; e per conseguenza gli anarchici russi che logicamente e giustamente si son sempre opposti a questo vero strozzamento del primitivo movimento sovietista liberamente sorto dalla Rivoluzione (che cioè difendono i sovieti contro i dittatori come li han difesi contro la reazione borghese) diventano miracoli della dialettica marxista proprio essi i nemici dei sovieti. Data la loro mentalità, i marxisti non san capire che il cosiddetto "potere sovietista" è l'annullamento dei sovieti proletari e popolari, e che perciò gli avversari di quello possono essere nell'ambito proletario e rivoluzionario, s'intende i migliori amici di questi.
Gli anarchici non hanno dunque affatto quella avversione preconcetta, di principio, al "metodo dell'azione di masse metodica ed organizzata" che si compiacciono di suppone per comodo polemico e per spirito settario i nostri avversari, ma soltanto oppongono allo speciale metodo autoritario e dispotico dei comunisti di Stato, il metodo libertario, più suscettibile appunto di interessare e mettere in moto le grandi masse, poiché lascia a queste libertà d'iniziativa e d'azione e le interessa all'azione coordinata fin dal primo momento, dando loro per principale e diretto obiettivo l'espropriazione.
Quest'indirizzo libertario potrà anche non riuscire a sboccare direttamente nell'abolizione dello Stato non perchè sia impossibile, ma per non essere sufficiente il numero di coloro che la vogliono, per esser troppo numeroso ancora il gregge umano che sente bisogno del pastore e del bastone, -ma anche in tal caso avrà reso un grande servizio alla rivoluzione, riuscendo a salvare in essa quanta maggiore libertà è possibile, influendo a che l'eventuale governo sia il meno forte, il meno accentrato, il meno dispotico che le circostanze permettano: vale a dire spremendo dalla rivoluzione il massimo di utilità per il proletariato, il massimo di benessere e di libertà. Verso l'abolizione del Capitalismo si va espropriando i capitalisti a beneficio di tutti, e non creando un capitalismo peggiore: il capitalismo di Stato.
Verso l'abolizione dello Stato si va combattendolo finché esiste, scalzandolo sempre più, togliendogli più ch'è possibile d'autorità e di prestigio, indebolendolo e spogliandolo di quante funzioni sociali il popolo lavoratore s e reso capace di compiere da sè per mezzo delle sue organizzazioni rivoluzionarie o di classe, -e non, come pretendono i comunisti autoritari, costituendo sulle rovine dello Stato borghese un altro Stato anche più forte, con maggiori funzioni e maggior potere. Prendendo quest'ultima via, sono proprio i comunisti autoritari che ostacolano l'organizzazione e l'azione delle grandi masse, che si mettono per la strada diametralmente opposta a quella che conduce al comunismo ed all'abolizione dello Stato. Essi sono nell'assurdo, come nell'assurdo sarebbe chi, volendo incamminarsi da Roma verso Milano, prendesse all'opposto la strada che conduce a Napoli.
Segue