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Avvelenamento di acque e disastro ambientale

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Pfas in Veneto, la commissione parlamentare Ecomafie: reati di avvelenamento di acque e disastro ambientale

Acqua-analisi

«Avvelenamento di acque destinate all'alimentazione». Questo è il principale reato che secondo la Commissione parlamentare d'inchiesta sugli illeciti ambientali, o sulle «ecomafie» che dir si voglia, sussiste in merito alla contaminazione da Pfas. Un crimine al quale, peraltro, vanno aggiunti quelli di disastro ambientale reversibile e delitto colposo contro l'ambiente. La relazione pubblicata in questi giorni dall'organismo assembleare, che ha come relatori gli onorevoli Alessandro Bratti e Miriam Cominelli del Pd e Alberto Zolezzi dei Cinque stelle, dipinge un quadro inquietante. Un quadro che, peraltro, è destinato ad assumere in prospettiva tinte ancora più fosche. «Per quanto ampia (è formata da più di 460 pagine, ndr) la relazione relativa al solo Veneto scaturita dal lavoro della commissione comprende anche una parziale, per quanto significativa, anticipazione in merito agli approfondimenti compiuti sul tema-Pfas», spiega Zolezzi.

Dopo aver vagliato le varie questioni relative alla gestione dei rifiuti, infatti, la commissione ha realizzato un consistente supplemento di indagini dedicate esclusivamente all'inquinamento da sostanze perfluoro-alchiliche. Quella contaminazione dovuta a composti chimici utilizzati per una lunga serie di produzioni, «che vede un inquinamento della falda esteso per circa 160 chilometri quadrati nelle province di Verona, Vicenza e Padova». «Questa attività è durata sino a pochi giorni fa», continua Zolezzi, «per cui ora è pensabile che si possa arrivare a fare sintesi di questo consistente lavoro entro al massimo un mese».

DALLA PAURA ALLE RESPONSABILITÀ. «L'allarme nelle popolazioni interessate da tale fenomeno è notevolissimo», afferma nella sua relazione la commissione. La quale non cita solo le fonti istituzionali venete, come la Regione e l'Arpav, ma anche le indagini compiute dall'Istituto di ricerca sulle acque del Cnr (Irsa) e, sottolineando la mancanza di limiti di potabilità nazionali e comunitari, afferma che «nel bacino Agno- Fratta-Gorzone i limiti di riferimento statunitensi e tedeschi sono stati ampiamente superati».

«L'origine della contaminazione è stata individuata dall'Arpav negli scarichi dell' azienda chimica Miteni spa di Trissino», ricorda la commissione. La quale, pur spiegando che la ditta si è attivata installando dei pozzi-barriera a Sud dello stabilimento, afferma che secondo l'Arpav è responsabile anche della presenza dei Pfas nei reflui trasportati nel Veronese dal «tubo». Il collettore che fa finire a Cologna, scaricandoli nel Fratta-Gorzone, gli scarichi di cinque depuratori della provincia berica.

INTERVENTI E PERICOLI. L'adozione da parte della Miteni di contromisure imposte dall' Arpav ha provocato «qualche miglioramento». Il quale è però dovuto anche al fatto che la ditta ora produce sostanze parzialmente diverse. «Considerato che essa è posta in un'area di ricarica, resta però altamente probabile che questa situazione contribuisca all'inquinamento della falda acquifera a valle, tanto più che è possibile presagire una contaminazione di natura storica», ammoniscono i parlamentari. I quali ricordano che anche attualmente acque di raffreddamento degli impianti di Miteni vengono scaricate direttamente nell'ambiente, nel torrente Poscola, senza nessuna depurazione.

SOLUZIONI E AZIONI GIUDIZIARIE. «Appare necessario installare idonei impianti di trattamento, che abbattano efficaciemente tutti Pfas», sia quelli che venivano prodotti negli anni passati che quelli che attualmente lavora la Miteni. Per imporre tali misure alla ditta, però, «è necessario che la Regione fissi innanzitutto i limiti, così come indicati dall'Istituto superiore di Sanità, anche per gli scarichi che confluiscono al depuratore consortile». La commissione, dopo aver ricordato che gli acquedotti sono stati dotati di filtri a carboni attivi ed aver invocato una nuova campagna di analisi degli scarichi da parte di Arpav, rimarca, comunque, che tutte queste considerazioni «prescindono totalmente dall'intervento del ministero o della Regione». Insomma, secondo la commissione, i reati sono già perseguibili dalla magistratura.

Luca Fiorin – L’Arena – 7 luglio 2016