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Analisi dell'accordo di cgil-cisl-uil, sulla RSA.

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Ultimo aggiornamento Lunedì 17 Febbraio 2014 10:11 Scritto da Sandro Martedì 04 Febbraio 2014 11:50

COMUNICATO SINDACALE

CONFEDERAZIONE USI UNIONE SINDACALE ITALIANA

Fondata nel 1912 – Italia

“L’ACCORDO DEL 10 GENNAIO 2014 SU RAPPRESENTANZA SINDACALE (firmato da segretari confederazioni Cgil Cisl Uil e Confindustria associazione datoriale del privato, VIOLA PRINCIPI E DIRITTI CARTA COSTITUZIONALE ITALIANA (articoli 2, 3 e 39 1° comma), LEGGE 300 DEL 20 MAGGIO 1970 detta STATUTO DEI LAVORATORI e si pone in contrasto con sentenze della Corte Costituzionale italiana (244 del luglio 1996 e 231 del luglio del 2013), in materia di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro e accesso ai diritti e agibilità sindacali”.

Si sono accese forti polemiche sull’ennesimo accordo firmato da Cgil Cisl Uil (le confederazioni sindacali ormai da definirsi “sindacati di stato e di collaborazione con i padroni, contro lavoratori e lavoratrici e i diritti costituzionali di organizzazione nei luoghi di lavoro, anche in altri sindacati o confederazioni diverse dalle loro), da parte dei loro segretari confederali nazionali e la Confindustria (associazione datoriale e padronale che rappresenta il settore privato) il 10 gennaio 2014.

L’Unione Sindacale Italiana, antica e storica confederazione fondata nel 1912 e ancora attiva in Italia, fornisce un primo commento e valutazione “politico tecnica” sintetica, in attesa di produrre un documento analitico e commentato su questo accordo.

La prima valutazione è che si tratta dell’ennesimo tentativo da parte delle confederazioni sindacali Cgil Cisl e Uil, di volersi attribuire una competenza esclusiva e una egemonia totalitaria in materia di rappresentanza sindacale e dei criteri di “rappresentatività”, non solo per il rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) delle categorie del settore privato, ma anche per quelli relativi ai posti di lavoro e alle “unità produttive” sopra i 15 dipendenti.

L’accordo del 10 gennaio riguarda l’applicazione, alle organizzazioni sindacali aderenti a Cgil Cisl e Uil e alle altre che hanno dato successiva adesione (di altri sindacati, compresi alcuni sindacati di base), dei meccanismi già previsti da altri due accordi interconfederali, quello del 28 giugno 2011 e il “protocollo di intesa” del 3 maggio 2013, che non avevano dato, per coloro che lo avevano sottoscritto, l’effetto di controllo totale che era sperato. L’accordo del 10 gennaio 2014 è diviso in 4 sezioni, quello relativo alla “certificazione” della rappresentanza sindacale nazionale, utilizzando il criterio misto tra il dato associativo (iscritti con deleghe del contributo sindacale sulla busta paga, certificati dalle aziende per i propri dipendenti e dall’INPS, il nostro Ente previdenziale e assistenziale) e il dato elettorale (voti espressi alle elezioni per le RSU Rappresentanza sindacali unitarie, già previste come regolamentazione da un accordo interconfederale del 20 dicembre del 1993, già frutto di molte discussioni sulla sua scarsa democraticità), ponendo la soglia di rappresentanza nella media tra dato associativo e dato elettorale al 5% nazionale, per poter partecipare alle procedure di rinnovo dei CCNL. La seconda sezione è relativa al passaggio dalle rappresentanze sindacali aziendali (Rsa) che hanno la loro fonte normativa e legislativa nella legge 300 del 20 maggio 1970, ancora in vigore detta “Statuto dei Lavoratori”, legge molto importante perché è l’applicazione dei diritti e principi della Costituzione repubblicana e antifascista nei luoghi di lavoro, oggetto per l’articolo 19 nel 1995 di un referendum popolare in materia di rappresentanza sindacale aziendale.

L’Accordo del 10 gennaio 2014, è in contrasto non solo con la legge 300 del 1970, ma anche con l’articolo 39 comma 1 della Costituzione Italiana (l’organizzazione sindacale è libera…), perché l’accordo che nella gerarchia delle fonti del diritto in Italia, è subordinato rispetto alla forza di una legge, quindi Cgil Cisl e Uil vorrebbero obbligare, anche con sanzioni economiche e l’esclusione dai diritti sindacali già goduti dalle Rsa, i sindacati non aderenti e lavoratori e lavoratrici ad accettare una sola forma di rappresentanza, quella che a loro fa più comodo, una rappresentanza elettiva che ha come fondamento lo stesso della legge elettorale in discussione nel Parlamento Italiano, detta “Italicum”, che eliminerebbe dal parlamento le formazioni politiche di opposizione e di minoranza, la stessa logica e filosofia che è alla base dell’accordo del 10 gennaio 2014 su rappresentanza sindacale e rappresentatività, cioè l’eliminazione delle opposizioni sindacali e delle forme di rappresentanza che l’attuale Costituzione disciplina come scelta libera e autonoma, nell’ambito della legge 300 del 1970, da parte di lavoratori e lavoratrici, che non necessariamente deve vedere come meccanismo quello elettoralistico (che prevede comunque 1/3 dei seggi attribuiti già di diritto a favore di Cgil Cisl e Uil e dei loro sindacati di categoria, a prescindere dal risultato del voto, alla faccia della democrazia sindacale).

Nella terza sezione di disciplina la “titolarità” e l’efficacia della contrattazione collettiva nazionale, di categoria e di azienda, nella quarta sezione sono inserite le disposizioni relative alle “clausole e alle procedure di raffreddamento e alle clausole sulle conseguenze degli inadempimenti”, per coloro che non accettino tale meccanismo totalitario e anticostituzionale, con sanzioni economiche e di esclusione che non erano mai state inserite nei precedenti accordi a nessun livello, a carico dei sindacati “ribelli”.

Vi sono poi inserite alla fine dell’accordo del 10 gennaio 2014, le clausole transitorie e finali, per la corretta applicazione, nel testo dell’accordo sono riportati i meccanismi delle procedure elettorali e le commissioni interconfederali (fatte solo da Cgil Cisl e Uil) per le procedure di infrazione ai sindacati “inadempienti” e nei casi di interpretazione tra sindacati di categoria per la titolarità alla negoziazione nazionale.

In sostanza, un attacco forte alla LIBERTA’ DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE IN ITALIA, un aggiramento delle leggi italiane per tutto il settore privato (per il pubblico impiego vi sono già norme restrittive simili a queste), un ATTACCO AI DIRITTI COSTITUZIONALI DI LAVORATORI E DI LAVORATRICI, di scelta della forma organizzata da darsi nei luoghi di lavoro, nel rispetto che è violato dall’accordo del 10 gennaio 2014, dei principi della prima parte della Carta Costituzionale del 1948, agli articoli 2 e 3, all’articolo 39 c.1, ltre al contrasto con due importantissi8me sentenze dell’organo competente, la Corte Costituzionale, in materia di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro (Rsa), la prima del luglio del 1996 n° 244, interpretativa del referendum popolare del 1995 (che un accordo non potrebbe mai giuridicamente sostituire), la seconda del luglio del 2013, la n° 231, ottenuta dalla mobilitazione della FIOM sindacato metalmeccanico della Cgil, che era stato escluso dalla Fiat e che fornisce elementi fondamentali assieme al resto della giurisprudenza italiana, per contrastare i punti cardine dell’accordo del 2014 firmato da Cgil, Cisl e Uil. Il contrasto vi è anche per le sentenze della Corte di Cassazione italiana sezione lavoro, per l’efficacia dei contratti e degli accordi aziendali, che attualmente dovrebbero valere solo per i dipendenti aderenti ai sindacati che li hanno firmati se peggiorativi, l’accordo del 10 gennaio 2014, ne vorrebbe imporre la validità anche a coloro che non sono iscritti ai sindacati “di stato” Cgil, Cisl e Uil, ma che hanno magari altre forme di rappresentanza previste dalla legge 300/1970 e con accordi aziendali migliorativi.

All’interno della stessa Cgil, nella fase congressuale, si stanno reprimendo l’opposizione del sindacato Fiom e della “sinistra sindacale”, che ritengono la firma di questo accordo, in violazione dello stesso Statuto della Cgil in termini di decisionalità e democrazia interna, oltre alla illegittimità costituzionale per tutti e tutte, elemento comune di queste componenti con l’analisi fatta dalle stessa Confederazione USI.

Schiacciata anche l’opposizione interna alla Cgil, la scelta è di omologarsi a questo meccanismo totalitario e liberticida (cosa che anche alcuni sindacati di base e autonomi stanno facendo), oppure organizzarsi e lottare per smantellarne l’impianto generale e gli penalizzanti.

L’Unione Sindacale Italiana, indica la seconda opzione come praticabile in generale.

UN ASPETTO CHE NESSUN ACCORDO, nemmeno questo, POTRA’ MAI BLOCCARE E’ IL CONFLITTO, COME ELEMENTO DINAMICO, FULCRO DI PROCESSI DI EMANCIPAZIONE SOCIALE. LA DIFESA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO, NORMATIVE E DEI DIRITTI SINDACALI, PASSA PER LO SVILUPPO DELLE LOTTE. ORA E SEMPRE RESISTENZA.

Segreteria nazionale generale della Confederazione USI Unione Sindacale Italiana

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Italia, Roma 3 febbraio 2014

 

Decreto Legge ILVA

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Ultimo aggiornamento Giovedì 20 Dicembre 2012 12:10 Scritto da Sandro Mercoledì 12 Dicembre 2012 18:49

DECRETO-LEGGE 3 dicembre 2012 , n. 207

Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 41, 43, 77 e 87 della Costituzione;

Visto il decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, convertito dalla legge 4 ottobre 2012, n. 171, e il Protocollo d'Intesa del 26 luglio 2012 per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto sottoscritto a Roma;

Visto il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 26 ottobre 2012, prot. DVA/DEC/2012/0000547, di cui alla comunicazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 252 del 27 ottobre 2012, con il quale si e' provveduto al riesame dell'autorizzazione integrata ambientale n. DVA/DEC/2011/450 del 4 agosto 2011, rilasciata alla Societa' ILVA S.p.A. per l'esercizio dello stabilimento siderurgico ubicato nei comuni di Taranto e di Statte, disponendo, ai fini della piu' rigorosa protezione della salute e dell'ambiente, l'applicazione in anticipo della decisione di esecuzione n. 2012/135/UE della Commissione, del 28 febbraio 2012, che stabilisce le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT) da impiegare per la produzione di ferro e acciaio ai sensi della direttiva 2010/75/UE;

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RIFORMA FORNERO APPROVATA DAL SENATO

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Ultimo aggiornamento Lunedì 23 Luglio 2012 16:16 Scritto da Sandro Venerdì 29 Giugno 2012 14:04

DAL 18 LUGLIO 2012, E' LEGGE.

GLI EFFETTI DELLA RIFORMA FORNERO APPROVATA DAL SENATO

Risposte ad alcuni interrogativi.

Roma, 5 giugno 2012 - Rispondiamo in sintesi ad alcuni degli interrogativi che più frequentemente vengono posti sugli effetti della riforma Fornero approvata dal Senato.

D.:  Che effetti avranno le nuove norme sul contenzioso del lavoro?

R.: certamente quello di fare aumentare le cause. Perché sono poco chiare e caratterizzate da un intreccio di ipotesi, eccezioni, deroghe alle eccezioni e deleghe di vario tipo.

D.: Che accadrà per i licenziamenti di natura organizzativa?

R.: si prevede la possibilità  di reintegrazione solo se risulti la "manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento". Se invece il fatto non sussiste, ma l'insussistenza non è manifesta, il lavoratore ha solo diritto ad un indennizzo da 12 a 24 mesi. Prima che si formi una giurisprudenza convalidata sul significato giuridico dell'aggettivo "manifesto" e le sue implicazioni anche in materia probatoria, ci vorranno parecchi anni.

D.: E in materia disciplinare?

R.: anche qui gli orizzonti sono oscuri. Secondo la nuova legge la reintegra sarebbe consentita per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione più lieve del licenziamento sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili.  Altrimenti il lavoratore avrà diritto ad una indennità da 12 a 24 mensilità. Anche qui si dovrà stabilire il perché della differenza fra l'ipotesi di insussistenza del fatto e le altre in cui il lavoratore debba essere egualmente ritenuto non colpevole ad esempio per aver esercitato un diritto.

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