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DARE UNA POSSIBILITA' ALLA PACE

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Ultimo aggiornamento Mercoledì 24 Aprile 2024 11:19 Scritto da Sandro Mercoledì 24 Aprile 2024 11:15

DARE UNA POSSIBILITA' ALLA PACE

L'Unione Europea e' a un bivio: puo' proseguire nell'attuale deriva bellicista, riarmista, militarista, e contribuire cosi' a precipitare l'umanita' nella catastrofe; oppure puo' tornare ad essere quella che sognarono e poi costruirono le sue fondatrici ed i suoi fondatori: un soggetto politico impegnato per la pace, per i diritti umani di tutti gli esseri umani, per la salvaguardia rispettosa e accudente della natura come della cultura, dell'intero mondo vivente.


Una delle figure piu' illustri della vita civile del nostro paese e della cultura della pace e della dignita' umana, Raniero La Valle, ha promosso una lista elettorale, denominata "Pace Terra Dignita'", che si pone come specifico fine proprio di portare nel Parlamento Europeo l'impegno per la pace come il compito piu' urgente e ineludibile.


Ma per potersi presentare la lista "Pace Terra Dignita'" deve raccogliere le firme. Molte. E ormai in pochissimi giorni.


Credo che ogni persona ragionevole possa convenire che sia preferibile che alle elezioni europee vi sia anche una lista specificamente impegnata per la pace, visto che tutte le altre liste sembrano non ritenere che la guerra (la "terza guerra mondiale a pezzi" in corso, che ogni giorno uccide tanti esseri umani innocenti) sia il problema piu' drammatico che l'umanita' abbia oggi di fronte.


E quindi, indipendentemente da chi si scegliera' di votare in giugno, credo che ogni persona ragionevole possa accedere all'idea di firmare per permettere alla lista "Pace Terra Dignita'" di partecipare alle elezioni.
E per permettere a chi vuole votare per la pace di dare un voto pienamente libero e persuaso.


Consentire a tutti di partecipare alle elezioni si chiama democrazia.

Ringraziando per l'attenzione,

Benito D'Ippolito

Viterbo, 22 aprile 2024

Mittente: c/o "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo, strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

 

Accordo Italia-Albania

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Ultimo aggiornamento Martedì 26 Marzo 2024 15:34 Scritto da Sandro Martedì 26 Marzo 2024 15:25

Accordo Italia-Albania: uno spot da 650 milioni

Il governo Meloni lo ha promesso: in Italia devono sbarcare meno migranti possibile. I numeri con cui ci stiamo confrontando sono questi: nel 2022 105.131 arrivi, nel 2023 157.651 e al 20 marzo 2024 sono 8.629 (qui), poco meno della metà rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo calo con ogni probabilità è frutto del Memorandum d’intesa con la Tunisia del 16 luglio 2023 (qui), con cui l’Ue dà al Presidente Kaïs Saïed105 milioni di euro per il controllo delle frontiere. Il progetto è quello di dirottare gli sbarchi dall’Italia all’Albania, con cui il 6 novembre 2023 viene firmato un Protocollo per costruire a nostre spese due strutture: una per le procedure di sbarco e di identificazione nel porto di Shengjin, l’altra, su un’area di 77 mila mq a Gjadër, dove i migranti staranno in «stato di trattenimento» sul modello Cpr (qui art. 7 bis), in attesa di approvazione della domanda di asilo o del provvedimento di espulsione. Sono a carico delle autorità italiane le misure necessarie ad assicurare la permanenza dei migranti all’interno delle aree, impedendone l’uscita sia durante le procedure amministrative sia al loro termine. Vediamo come funziona l’accordo che ha una durata di 5 anni, ed eventualmente rinnovabile.
Chi va dove: come funziona lo smistamento

Lo smistamento avviene in acque internazionali in concomitanza al salvataggio da parte dei mezzi di soccorso italiani (e non delle Ong) (qui). In Albania vengono portati solo maschi adulti provenienti da Paesi considerati sicuri (come Tunisia, Marocco e Algeria, qui la lista completa) L’ipotesi è di disporre i nostri assetti navali in mezzo al mare dove separare i minori, le donne e gli anziani, che sbarcheranno in Italia poiché per legge non possono andare nei centri albanesi(qui art. 2). Uno smistamento complicato da fare in mezzo al mare, visto che i migranti viaggiano senza documenti.

Le video-udienze in collegamento con Roma

Una volta condotti nei centri ubicati al porto di Shengjin e poi a Gjadër, dove la capienza massima è di 3 mila migranti (qui art. 4), si procederà all’identificazione e definizione dello status da parte delle nuove Commissioni territoriali. I tempi sono quelli previsti dalle nuove «procedure accelerate di frontiera» entrate in vigore il 6 maggio 2023 con il decreto Cutro (qui art. 7 bis): 28 giorni per l’identificazione e la verifica dei requisiti per l’asilo. Entrando nel dettaglio: la decisione per il riconoscimento della protezione internazionale dovrà essere presa entro 7 giorni, tramite video-udienze in collegamento da Roma; in caso di diniego il richiedente potrà presentare ricorso entro i successivi 14; ed entro altri 7 giorni il giudice dovrà decidere se accogliere o respingere. A quel punto chi ha diritto all’asilo entra in Italia regolarmente; per tutti gli altri deve essere effettuato il rimpatrio, che avverrà comunque dall’Italia. Quindi – è il ragionamento della premier Giorgia Meloni – «ogni mese 3 mila entrano e 3 mila escono, pertanto in Albania possono essere gestiti 36 mila migranti l’anno» (qui). Un auspicio difficilmente praticabile.

Le «porte girevoli» che li riportano in Italia

Recita l’articolo 4 del Protocollo (qui): «Il limite temporale di permanenza del singolo migrante non potrà mai essere superiore al tempo strettamente necessario a espletare le procedure di accertamento dei requisiti per l’ingresso e soggiorno in Italia e, nei casi previsti, le procedure di rimpatrio». Cosa vuol dire? Che se ogni mese 3 mila migranti escono dai centri albanesi e tornano in Italia, e fra loro mille hanno ottenuto il diritto di asilo, gli altri 2mila sono da rimpatriare. E’ qui che la porta girevole si inceppa. Siccome per queste operazioni ci vuole un accordo con il Paese d’origine, mediamente ogni mese ne rimpatriamo 400. E infatti nel 2023, su 150 mila arrivi, ne abbiamo riportati a casa 4.753 (vedi Dataroom del marzo 2019).

Significa che tutti gli altri dovranno stare fino a 18 mesi nei Cpr italiani, dove in totale i posti disponibili sulla carta sono 1.359, ma nella realtà sono meno a causa dei lavori di ristrutturazione in corso, per esempio a Torino e Trapani (qui pag. 53); mentre i nuovi posti annunciati dal governo non sono pronti (qui). Poi trascorsi i 18 mesi, chi non si riesce a rimpatriare torna a piede libero e diventa clandestino.
L’alternativa fa acqua

L’alternativa è lasciare nei centri di detenzione albanesi chi è in attesa di espulsione, e in assenza di nuovi accordi, riportare in Italia quelle poche centinaia rimpatriabili. In tal caso però non si liberano posti nei centri di Shengjin/Gjadër , e allora il numero di migranti accolti si allontana parecchio dagli annunciati 36 mila l’anno. Comunque alla fine la storia è sempre la stessa: passati 18 mesi i migranti che non si è riusciti a espellere devono essere riportati in Italia e a piede libero.

I conti senza l’oste

Questo andirivieni deve anche fare i conti con la Corte di giustizia europea che dovrà decidere se il «trattenimento» previsto dalle «procedure accelerate di frontiera» del decreto Cutro (evitabile solo se il migrante versa 5 mila euro di cauzione) è in linea con i diritti umani salvaguardati dalle norme europee. La decisione arriverà a tempo debito, verosimilmente non prima di un anno. Sarebbe un azzardo portare nel frattempo dei migranti in Albania perché c’è la possibilità che i giudici (la competenza è della sezione specializzata del Tribunale di Roma) possano non convalidare il trattenimento entro le 48 ore previste, come già hanno fatto in Italia. E a Shengjin/Gjadër i migranti non possono girare a piede libero. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi va comunque avanti: «Nelle more del giudizio siamo disponibili a rivedere la norma sulla cauzione per i migranti che ci pare l’unico dubbio sollevato. Il crono programma procede e il nostro genio civile come i vigili del fuoco sono già al lavoro per una rapida realizzazione dei centri». Ma quanto ci costa questo giro per il Mediterraneo?

I costi: 653 milioni di euro

Tra costruzione, gestione e apparati telematici le due strutture costeranno quasi 69 milioni di euro: «Poiché sono frequenti i casi di blackout, è necessario dotare l’area di gruppi elettrogeni – si legge nella relazione tecnica che accompagna il Protocollo –. Poiché sono frequenti i casi, soprattutto nei mesi estivi, di sospensione delle forniture idriche, è necessario dotare l’area di serbatoi di accumulo; l’intera zona non è dotata di fogna pubblica; pertanto, per lo scarico delle acque nere è necessario realizzare un serbatoio di accumulo di idonea capacità da svuotare periodicamente con autospurgo; serve inoltre il collegamento per la rete telefonica e la rete Internet». Altri 25 milioni ci vogliono per la struttura penitenziaria. All’Albania dobbiamo dare 94 milioni per la sorveglianza esterna: la giurisdizione sarà italiana, ma Edi Rama collaborerà con le sue forze di polizia per la sicurezza fuori dalle strutture. Per il viaggio, la diaria, il vitto e alloggio degli uomini dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, i costi in più sono di 260 milioni e 200 mila euro. Per le 5 nuove commissioni territoriali che dovranno esprimersi sul diritto di asilo: 17 milioni e 970 mila. Per 152 nuove assunzioni tra funzionari del ministero dell’Interno e della Giustizia, magistrati, giudici di pace e dirigenti sanitari 42 milioni 507.739. Per l’affitto delle aule a Roma per le video-udienze, luce e riscaldamento 2 milioni e 920 mila euro.

Per costruire e allestire 20 aule per le udienze in Albania e per i collegamenti telematici dall’Italia dei difensori 8 milioni 730 mila. Spese di viaggio per avvocati e interpreti 29 milioni 160 mila. «Al termine delle procedure di accertamento – dice l’articolo 9 del Protocollo – le autorità italiane provvedono, a proprie spese, all’allontanamento dei migranti dal territorio albanese» (qui). Ovvero li riportano in Italia, e la spesa di noleggio navi, mezzi ed equipaggiamenti è di altri 104 milioni. Costi totali in cinque anni: 653,5 milioni di euro.
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Così tagliate sugli ospedali.

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Ultimo aggiornamento Mercoledì 20 Marzo 2024 14:38 Scritto da Sandro Mercoledì 20 Marzo 2024 14:34

Così tagliate sugli ospedali.

Anche le Regioni di destra in rivolta contro il governo

Marzo 2024Aggiornato

DI MICHELE BOCCI, REPUBBLICA. Non si sono trattenuti. Hanno alzato la voce, minacciato di fermare cantieri, prefigurato ricorsi. Il presidente della Calabria Roberto Occhiuto ha addirittura ipotizzato di lasciare l’incarico di commissario per il piano di rientro del sistema sanitario calabrese. «Se le cose stanno così, vi rendo le chiavi».

  • Non era mai capitato che le Regioni di centrodestra andassero tanto apertamente all’attacco del governo Meloni, finora c’erano stati giusto un po’ di mugugni. La rabbia riguarda il settore più importante per le amministrazioni locali, quella sanità che assorbe circa l’80% dei loro bilanci.

Dall’altra parte del tavolo, in una movimentata riunione che si è svolta lunedì, c’erano il ministro agli Affari europei e al Pnrr Raffaele Fitto e quello alla Salute Orazio Schillaci, in realtà molto defilato durante l’incontro. La partita era quella del Pnc, il Piano complementare parallelo al Pnrr, che da giorni agita i presidenti e gli assessori. Il governo ha deciso infatti di tagliare 1 miliardo e 266 milioni di euro dal programma “Verso un ospedale sicuro e sostenibile”, che finanzia la messa a norma delle strutture, ad esempio, ai fini dell’antisismica e l’antincendio.

Fitto ha spiegato che i soldi si potranno prendere dal cosiddetto “ex articolo 20”, un fondo creato nel 1988 per pagare le grandi opere della sanità, come la costruzione di ospedali. «Si tratta di vasi comunicanti», ha aggiunto il ministro riferendosi al cambio di “contenitore” dei soldi. La mossa ha scatenato la rabbia di tutte le Regioni, nessuna esclusa.

  1. Le contestazioni sono state due. La prima riguarda il fatto che molti hanno già programmato le spese finanziate dal Pnc, addirittura hanno aperto cantieri e ricevuto le fatture da pagare. Prendere il denaro dall’ex articolo 20 provocherebbe grandi rallentamenti, perché andrebbero avviate lunghe procedure per ottenere i soldi, e quindi affrontati contenziosi. La seconda riguarda il fatto che il fondo per le grandi opere, dove già non ci sarebbe abbastanza denaro, verrebbe ridotto perché sarebbe utilizzato per altro. «Quindi si tratta comunque di un taglio», hanno ribadito le Regioni.

Quando ormai la riunione dell’altro ieri era finita, sono arrivate pure le critiche della Corte dei conti, che praticamente coincidono con quelle di presidenti e assessori. «Non si può non osservare – è scritto nella memoria sul decreto che introduce la novità – come, oltre a ridurre l’ammontare complessivo delle risorse destinabili ad investimenti in sanità (l’aver attribuito il finanziamento del programma al Fondo ex articolo 20 incide sulle disponibilità per ulteriori accordi di programma) e a incidere su programmi di investimento regionali già avviati, lo spostamento comporta il rinvio dell’attuazione del progetto a quando saranno disponibili spazi finanziari adeguati».

All’incontro di lunedì c’erano tre presidenti: Francesco Rocca del Lazio, Michele Emiliano della Puglia (l’unico di centrosinistra) e Roberto Occhiuto della Calabria. Rocca, dopo aver fatte proprie le osservazioni dell’assessore alla Salute toscano Simone Bezzini (e già questo è significativo), ha spiegato che a lui i soldi dell’ex articolo 20 servono per rifare l’ospedale di Tivoli, colpito da un grave incendio, e non può usarli per altro. Emiliano ha spiegato di avere già cantieri aperti e ha chiesto se deve fermare tutto («no, correte», ha risposto Fitto lasciando un po’ interdetto il presidente). Occhiuto ha detto che non si possono togliere risorse per mettere gli ospedali in sicurezza a una Regione che è da 15 anni in piano di rientro. Ha poi aggiunto che, se il governo agisce così tanto vale rimettere il suo mandato di commissario della sanità.

  1. Proteste sono arrivate anche dalle grandi realtà del nord, Veneto e Lombardia in testa. L’assessore alla Salute lombardo Guido Bertolaso, che aspetta finanziamenti per oltre 200 milioni, ha detto che i soldi non possono essere tolti: «Noi non siamo d’accordo, anche perché le spese legate all’ex articolo 20 sono già state programmate, abbiamo annunciato la costruzione di nuovi ospedali – il senso del suo intervento – E poi c’è un accordo in conferenza Stato-Regioni che stabilisce di togliere i soldi solo in caso di inadempienze e previa intesa. Le due condizioni qui non ci sono». Il coordinatore degli assessori alla Salute, l’emiliano Raffaele Donini, che deve ricevere un centinaio di milioni, ha messo in guardia i due ministri: «State prendendo un abbaglio». Tutti, inoltre, hanno rintuzzato Fitto quando ha fatto l’esempio dei vasi comunicanti: «Appunto se i fondi sono comunicanti e uno di questi viene ridotto si sta praticando un taglio».
  • Insomma, dalle Regioni è arrivata una fumata nera. Per tentare di uscire dalla situazione i ministri hanno annunciato che incontreranno le amministrazioni locali una ad una. Chiudere una partita del genere senza l’intesa con i presidenti è arduo, intanto perché si rischiano ricorsi ma soprattutto perché si porterebbe all’estremo lo scontro politico sulla sanità con gli amministratori locali di centrodestra.

 

   

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